Complotti e processi in un Regno di Napoli sconvolto dai giacobini

Rassegna stampa
di
alessandro magno
Ambientato nel Regno di Napoli di Ferdinando IV, re di Napoli che assunse poi il titolo di Ferdinando I di Borbone, re delle Due Sicilie, il romanzo copre un periodo storico interessantissimo.

È un romanzo storico coinvolgente il volume di Enrico De Agostini, Un prosciutto e dieci ducati (IoScrittore, pp. 200, euro 15).
Ambientato nel Regno di Napoli di Ferdinando IV (1751-1825), re di Napoli che assunse poi il titolo di Ferdinando I di Borbone, re delle Due Sicilie, dopo che Gioachino Murat, vinto, abbandonò Napoli, il romanzo copre un periodo storico interessantissimo.
Con l’ausilio di una cronaca inedita dell’epoca, De Agostini, dal 2014 ambasciatore italiano a Harare (Zimbabwe), narra la vicenda di don Giovanni e della sua famiglia, tra Napoli e il piccolo paese di Circello.
Sono gli anni della reggenza di Bernardo Tanucci e della regina Maria Carolina, che alla vigilia della Rivoluzione rovesciò le alleanze del Regno di Napoli, cambiando la tradizionale dipendenza dalla Spagna con un legame politico e militare con l’Impero d’Austria.
Napoli si trovò così vincolata alla politica austro-inglese e, dopo l’invasione di Napoleone, il re dovette abbandonare due volte Napoli e ritirarsi a Palermo.
Sullo sfondo c’è anche la rivoluzione napoletana del 1799. A raccontarcela è il protagonista, costretto per un complotto a lasciare il suo buen retiro di Circello per Napoli.
Sono i giorni del giugno 1999. Don Giovanni, tra gli antichi Decumani, incontra sguardi ostili: quello dello “scagliozzaro” e del venditore di pastasciutta.
Anche Napoli non è sicura e don Giovanni fugge nella notte, per ritornare a Circello, in una corsa mitica, insieme a due amici, passando da Piedigrotta e incontrando un vecchio monaco che gli indica la via da percorrere.
Gli anni trascorrono con altri eventi, fino al 1807, quando don Giovanni è finalmente felice di vivere in pace nel suo paese. Ma un giorno il passato torna nuovamente a bussare alla sua porta. Il romanzo termina con un episodio grottesco, nell’estate 1809, a Circello (mentre il re ha ancora il titolo di Ferdinando IV), dove «centocinquanta disperati a cavallo», entrarono minacciosi in paese.
Il passato ritorna per don Giovanni: a capo dei briganti bramosi di saccheggi c’è un «signore» che aveva fatto parte del complotto contro di lui anni prima.
Il complotto era stato ordito da due malandrini, don Ciccio e don Gaetano, che avevano fatto scrivere un documento, commissionato a un falsario, per denunciare don Giovanni di tradimento al re.
Quel documento, che avrebbe dovuto privare dell’onore don Giovanni, era costato «un prosciutto e dieci ducati». Ma il complotto non solo non era riuscito, don Giovanni aveva addirittura trionfato.
Non sveliamo altri aspetti dell’avvincente trama e nulla dell’epilogo di questo bellissimo romanzo storico, che l’autore ci assicura frutto, nel più brillante stile manzoniano, di un manoscritto che gli ha tramandato suo zio Urbano: un papiello di 222 pagine, redatto a mano.
La trama è degna di una trasposizione cinematografica. Di solito gli scrittori non sono bravi sceneggiatori, ma in questo volume si intravede già una sceneggiatura. La lingua “storica” dei personaggi è perfetta. E in una eventuale produzione cinematografica i dettagli sui costumi farebbero la gioia di un Piero Tosi.

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