Consigli degli editor

C'era una volta... una storia

di
Oliviero Ponte Di Pino
L’errore da evitare e tre semplici metodi per “costruire” una narrazione efficace
La forza di un romanzo nasce prima di tutto dalla volontà di raccontare. Il bisogno di narrare è una caratteristica profondamente umana, che riscopriamo ogni volta in maniera diversa.
Si è molto discusso negli anni Sessanta della fine del romanzo. Parevano superate le forme tradizionali del racconto con il suo inizio, “C’era una volta…”, le peripezie degli eroi e dei cattivi, e la fine più o meno lieta, “E vissero per sempre felici e contenti” oppure “Il resto è silenzio” se sono morti quasi tutti. Il narratore e i personaggi sembravano svanire o disintegrarsi nella moltiplicazione dei punti di vista, di una soggettività sempre più fragile. Pareva impossibile raggiungere l’obiettivo dei grandi romanzieri novecenteschi, ovvero ricondurre la complessità del reale all’interno di un’unica storia. La voce umana pareva affievolita, annichilita dall’orrore come quella di Dio, dopo la Shoah e le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki.
Poi il bisogno di raccontare e di raccontarsi ha preso di nuovo il sopravvento. Uomini e donne non possono smettere di innamorarsi, di viaggiare scoprire nuovi mondi fuori e dentro di sé, di combattere nuove battaglie, di lottare per la loro dignità e libertà… Narrare non significa solo mette in fila fatti e informazioni. Significa prima di tutto trasmettere uno sguardo sul mondo e una esperienza.
Oggi, ancora una volta, l’arte di raccontare pare in pericolo. Le nuove forme della comunicazione sono basate sulla sintesi. Non si tratta soltanto dei 140 caratteri di un tweet: i testi brevi sono in genere la regola della comunicazione in rete. Siamo invasi dalle immagini e dal loro potere. Sempre più spesso la parola è ridotta a didascalia, a supporto di icone di forte impatto emotivo: i gattini nella bottiglia, o il terrorista con la pistola.
In questo orizzonte le storie, che sembrano condannate alla marginalità, hanno un ruolo ancora più importante, forse ancora più cruciale dello smascheramento delle bufale, come i gattini nella bottiglia, o dell’interpretazione storica, sociale e politica di un’immagine sensazionale, come lo scenario di una strage.
Le storie sono indispensabili tra l’altro per:
# costruire la nostra identità personale: è attraverso le storie che raccontiamo, a cominciare dalla nostra autobiografia, e persino dal nostro curriculum vitae, che raccontiamo agli altri e prima di tutti a noi stessi, chi siamo; mentre raccontiamo le nostre esperienze, stiamo già cambiando;
# costruire una identità collettiva: le storie ce le scambiamo, quando le raccontiamo agli amici ma anche quanto pubblichiamo un libro; così nascono le identità collettive, che siano nazionali, religiose, culturali, generazionali, eccetera: sono il frutto di narrazioni condivise;

# rendere conto della molteplicità dei punti di vista: ogni storia è un intreccio di voci e di sguardi; ogni personaggio ha le sue, ogni personaggio si mette in relazione con quelli degli altri personaggi; raccontare una storia significa ogni volta mettersi nei panni di qualcun altro, di molti altri, significa mettersi dalla parte dell’Altro, compresi mostri e serial killer che incarnano il male; chi racconta una storia deve essere consapevole di questa ricchezza, con tutte le emozioni che ciascuna figura porta dentro di sé;
# rendere conto della complessità del reale: raccontare una storia significa in primo luogo creare l’universo in cui si svolge: i paesaggi ma anche i rapporti sociali tra i personaggi; significa selezionare o inventare gli elementi necessari a costruire un mondo magari diversissimo dal nostro, ma dotato di una sua coerenza interna;
# immergersi nel flusso del tempo: un racconto non è una collezioni di immagini, ma il rapporto che lega un’immagine all’altra; raccontare una storia significa essere consapevoli che le nostre esistenze cavalcano la freccia del tempo, che c’è un prima e c’è un dopo, significa credere, o illudersi di credere, che abbiamo un destino;

# immaginare mondi possibili, belli o brutti, l’apocalisse oppure l’utopia; le storie servono per farci capire che la realtà non è una condanna, che esistono mondi alternativi, antropologie diverse e molteplici; i romanzi ci fanno intuire che possiamo possiamo cambiare la realtà, quella personale e quella politica, e provare a plasmarla secondo i nostri desideri;
Per questo oggi, nella civiltà del frammento e dell’immagine, raccontare storie è una responsabilità ancora più terribile e meravigliosa.
 
L’errore da evitare

Non saper rispondere alla domanda: da che punto di vista il lettore “osserverà” la storia che sto raccontando?
È vero che ogni romanzo è polifonico, nel suo intreccio di voci e punti di vista. Ma è importante che il lettore capisca in ogni momento chi sta parlando, qual è il punto di vista da cui vede il mondo. Chi scrive un romanzo può trovare varie soluzione: il narratore onnisciente dei grandi romanzi ottocenteschi, il punto di vista soggettivo dell’Io narrante, la molteplicità delle voci, come hanno insegnato James Joyce e William Faulkner. Può anche giocare a sorprendere il lettore. Ma deve sempre essere consapevole del punto di vista che sta adottando: è la base del patto di fiducia che stabilisce con il lettore
 
Il consiglio di IoScrittore

Prova a riassumere la storia che stai raccontando. Puoi farlo prima, se ragioni in termini progettuali e hai bisogno di un piano di lavoro, con la scansione dei capitoli, la successione dei colpi di scena, la scelta delle ambientazioni. Oppure lo puoi fare dopo aver completato il romanzo, se preferisci utilizzare la scrittura come strumento di scoperta e di conoscenza.
Che tu lo faccia prima o dopo, però, prova a fare un riassunto. Anzi, più di un riassunto:
# un microriassunto, non più di un tweet o due, come nei tamburini cinematografici. “Due ragazzi si amano, le famiglie non voglio, finirà male”. Forse l’avete già sentita, ma una storia così funziona sempre, a saperla raccontare in modo nuovo. E se è una storia che nessuno ha mai raccontato, molto meglio… anche se è quasi impossibile inventare storie davvero nuove. Un riassunto così breve servirà a chi dovrà proporre il vostro romanzo ai librai e ai lettori: ci sono così tanti libri (e storie) in giro, bisogna essere sintetici ed efficaci;
# un riassunto di una pagina (sinossi). E’ quello che serve a un agente o a un editor per capire se vale la pena di iniziare a leggere il vostro manoscritto. Vengono delineati i personaggi, gli scenari, le situazioni. Si capisce meglio lo sviluppo della storia: “Finisce male… Ma come?”.
# uno schema dettagliato, capitolo per capitolo. Serve a voi, per capire se la storia è credibile e coerente, per seguirne lo sviluppo, per tenere sotto controllo una materia ricca e complessa, per capire l’evoluzione dei protagonisti. Serve per verificare che tutti i tasselli vadano al loro posto… Serve per dare un ritmo al racconto, attraverso la scansione dei capitoli.
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