E poi magari buttare all’aria – da sola o insieme con altri – quella definizione, per trovarne un’altra, più precisa o più efficace o più evocativa. Così, se mi trovo di fronte a un romanzo thriller/mystery/horror (o a un romanzo che combina questi elementi), faccio proprio questo percorso.
All’inizio, si pensa che sia sufficiente mettere nel titolo qualche parola «forte» – delitto, assassino, cadavere, morte – e talvolta ci si ferma lì: ci si sono fermati, per esempio, Edgar Allan Poe (I delitti della rue Morgue), Agatha Christie (Assassinio sull’Orient-Express), Robert Louis Stevenson (Il trafugatore di salme) e Patricia Cornwell (Causa di morte).
Ma perché poi non provare a estrarre (in senso figurato!) il vero cuore del romanzo, quello che lo rende, ovvio, un nuovo figlio del genere, ma anche un figlio davvero nuovo, diverso da tutti gli altri?
Provateci, fatelo diventare un gioco: cancellate il titolo che gli avete dato, fate leggere il romanzo a vari amici e poi chiedete loro come lo intitolerebbero (sì, lo so, è anche un modo un po’ subdolo per capire se l’hanno letto veramente); elencate le principali caratteristiche dei vostri personaggi, i luoghi in cui si muovono, le loro azioni più significative e poi provate a collegarle o a fare libere associazioni; lasciatevi ispirare da una frase «classica» (presa dalla Bibbia, da una canzone, da un aforisma).
Così facendo, vi troverete in compagnia per esempio di Andrea Camilleri (La forma dell’acqua, La gita a Tindari), di Fred Vargas (L’uomo dei cerchi azzurri), di Patricia Highsmith (Il talento di Mr Ripley), di Umberto Eco (sapevate che Il nome della rosa in origine s’intitolava L’abbazia del delitto?), di Mickey Spillane (La vendetta è mia).
Basta che non capiti a voi quello che, lo confesso, un paio di volte è capitato a me. Trovare il titolo assolutamente perfetto… quando il romanzo era già in libreria!
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