Caro lettore,
Per cominciare, leggere fa bene perché ci aiuta a capire meglio il mondo,
ma anche noi stessi e i nostri sentimenti, soprattutto attraverso la
narrativa: i personaggi con cui ci identifichiamo e le loro storie ci formano e costruiscono la nostra identità individuale e collettiva. Forse è per questo che le donne, che leggono più romanzi degli uomini, sono più attente alla vita interiore, sia la loro sia quella altrui. (O forse è vero il contrario: le donne leggono più degli uomini proprio per la loro
necessità di comprendere meglio la nostra vita interiore). Con queste premesse, non sorprende che sia nata una disciplina come la Libroterapia, o Biblioterapia. Il primo a sistematizzate la pratica, intorno al 1930, è stato uno psichiatra americano, William Menninger, che ha iniziato a far leggere ad alta voce, nei reparti ospedalieri, secondo percorsi di lettura guidata. Il terapeuta ha il ruolo di scegliere i percorsi di lettura, sulla base delle diverse patologie: la Libroterapia particolarmente sarebbe particolarmente indicata per alleviare sindromi depressive, disturbi d’ansia e sessuali. Particolarmente consigliate le
testimonianze di persone che raccontano i loro percorsi di guarigione.
Alla terapia di gruppo è poi subentrata la terapia individuale: dopo il
primo approfondito colloquio, lo psichiatra assegna al lettore-paziente un
programma di lettura; successivi incontri verificano l’efficacia della
pratica ed eventualmente consigliare altre letture. In Francia se n’è
occupato Marc-Alain Ouaknine, in Italia il testo di riferimento è da alcuni anni Libroterapia. Un viaggio nel mondo dei libri, perché i libri curano
l’anima di Miro Silvera, autore (tra l’altro) del celebre aforisma: “Chi non legge ha un’anima anoressica”. Più di recente, qualcuno ha anche proposto una nuova pratica: Francesco Marchetti, autore di La dieta letteraria, spiega “Come leggere bene senza
appesantirsi” (è uno dei quattro divertenti volumetti pubblicati da Editrice Bibliografica nella collana Wuz diretta da Giulia Mozzato, dove si
parla e sparla anche di incipit, grazie a Matteo Baldi, dei clienti delle
libreria di provincia, grazie a Stefano Amato, e di come fingere di aver
letto un libro senza averlo fatto, grazie a Sandra Bardotti: ma chi legge
per IoScrittore sa che è impossibile giudicare un libro senza averlo letto,
ti sgamano subito).
Francesco Marchetti divide i libri in tre macrocategorie:
– i classici, che “contengono proteine, ovvero i mattoni della nostra
crescita” e “rivestono un ruolo importante nella vita di tutti noi”;
– i best seller, “ricchi di carboidrati”, che “finiscono per costituire la
parte essenziale della nostra alimentazione, anche se non sono considerati
nutrienti essenziali”;
– i libri della vita, ovvero quelli dei nostri autori preferiti, “che
vanno assunti costantemente”, insomma periodicamente riletti, e che sono le
nostre vitamine letterarie (a proposito, quali sono le tue vitamine
letterarie? Tra le mie ci sono sicuramente Dante e Shakespeare, Artaud e
Thomas Bernhard, Platone e Dostoevskij…).
Una dieta letteraria equilibrata deve bilanciare questi tre elementi. Come tutti i dietologi che si rispettino, Marchetti specifica per ogni libro gli ingredienti principali, l’apporto calorico e gli abbinamenti consigliati:
ma attenzione, non si tratta del cibo-spazzatura che dovete sgranocchiare
mentre leggete, ma il film che “condisce” il romanzo. Nel menu troviamo classici come I promessi sposi o Delitto e castigo, Amleto o Il grande Gatsby, ma anche Eco e Grisham.
(Un’ultima domanda, amico lettore: ci sono letture che mettono in pericolo
la tua vita, o la tua sanità mentale? Per me, quelli noiosi, e che non
riesco a smettere di leggere…) Nella certezza che leggere sia un’iniezione di salute (e magari un po’ una droga, come lo è del resto la lettura) ti prego di accettare i miei
migliori auguri di buona lettura e sicura guarigione.
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