La scrittura come cura di sé
Scrivere a motivo della propria fragilità è un’esperienza in grado di restituire grandi gioie.
Ho cominciato a scrivere gradualmente, a piccoli passi, osservando aspetti della mia vita fragile, limitata dalla malattia. Ho attraversato mesi in cui – in lista d’attesa per un trapianto di fegato – ho camminato sulla sottile linea di confine tra la vita e la morte. Una passeggiata tutt’altro che facile, per nulla divertente. Verrebbe da pensare che, passato il pericolo, sia naturale voler dimenticare. Invece no. Invece occorre ricordare e ricostruire per dare un senso a ciò che è accaduto. Per capire come, dopo il trauma, si sia ricomposta la propria umanità.
Se in quel periodo non avessi annotato qua e là pensieri sparsi, se non avessi deciso di comunicare con il resto del mondo attraverso la scrittura di un blog, se non avessi scritto lettere importanti alle persone più care, oggi non riuscirei a ricordare molto di quelle migliaia di pensieri, di emozioni e di scelte difficili che hanno fatto di quel periodo il vero spartiacque della mia vita.
Prima del trapianto. Dopo il trapianto. Nel mezzo, il mio sentiero che incrocia quello di un altro essere umano, caduto nella morte. Tra due vite, appunto: la mia e quella del donatore, la mia vita del prima e quella del dopo.
Un percorso complicato, difficile e accidentato. Tutti i propri sensi allerta nell’impegno della resistenza, tutti i pensieri concentrati, la vita contratta e finalizzata alla salvezza. Poi, dopo aver ricevuto il dono, c’è bisogno di sciogliere, di ammorbidire, di respirare. Di ritrovare le parole per raccontare la vita e per scoprirla di nuovo luminosa, proprio attraverso la scrittura.
È bello scrivere per ricordare. Cominci a tentoni e un poco in imbarazzo. Poi ti accorgi che le parole si scrivono, che arrivano piene di energia e di calore.
Attraverso il narrare ho potuto capire meglio ciò che mi è accaduto, ho potuto vedere cosa ho fatto io rispetto a ciò che mi è accaduto. Ho potuto vedere la nuova donna che si è formata proprio attraverso quello sforzo di superamento. Ho visto cosa succede e come ti trasformi quando getti il cuore oltre l’ostacolo e ti attrezzi per seguire la sua scia.
Raccontare tutto questo con franchezza, lungo le pagine di un libro, è stato come riattraversare i giorni, assegnando loro una maggiore verità e pregnanza. Mi sono presa cura di me, della mia storia. Ho guardato le mie fragilità. Ho narrato. Ora il cerchio si è chiuso, la vita ricomposta.
La scrittura ti cura e poi ti conduce verso nuova vita. Verso nuove narrazioni.
IL LIBRO E L’AUTRICE – Tra due vite. L’attesa, il trapianto, il ritorno (Giunti) racconta la vicenda reale di Laura. La trama? Nella vita di molti capita un evento che segna il confine tra un prima e un dopo, uno spartiacque. Una prova che siamo costretti ad affrontare, per la quale dobbiamo trovare il coraggio, fronteggiare la paura, nutrire la speranza. Per l’autrice questo spartiacque è il trapianto di fegato. Prima c’è il tempo sospeso dell’attesa, in cui la vita familiare scorre tra l’apparente normalità quotidiana e le assenze imposte da ricoveri sempre più frequenti. Poi la solitudine che segue l’operazione: risolti i problemi clinici, per i trapiantati non ci sono percorsi d’aiuto psicologico. Laura farà appello a tutte le sue risorse creative: un blog, la Libera Università dell’Autobiografa di Anghiari, un video, il canto… tutti modi per raccontarsi, condividere, guarire anche l’anima. Infine, il ritorno. Non alla normalità del prima bensì a un’esistenza nuova che si deve confrontare con quella precedente, ma anche con la vita di chi non c’è più.
Laura Mazzeri vive a Milano con il marito e due figli. Laureata in Filosofa, ha insegnato per molto tempo nella scuola primaria. Collabora da alcuni anni con la Libera Università dell’Autobiografa di Anghiari e si occupa di medicina narrativa.
Fonte: www.illibraio.it
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