Ci sono molte teorie su che cosa un romanzo sia o dovrebbe essere, e certamente ogni lettore ha in merito le proprie idee: per alcuni dovrebbe essere uno specchio della società nella quale nasce e nutrire intenti di critica della realtà; per altri invece il romanzo è un’indagine verticale degli slittamenti anche più impercettibili dell’animo umano, esplorato con gli strumenti raffinati di una lingua che si elevi dal logoro uso dei media; per altri ancora, infine, un romanzo non è altro che una bella storia utile a evadere per qualche ora da una soffocante quotidianità, un’occasione per partire alla volta di mondi e tempi sconosciuti per ritornarne felici e un po’ trafelati come dopo un giro in una specie di ottovolante dei sogni.
A tutte queste teorie e interpretazioni tra i lettori altrettante ne corrispondono di certo tra gli aspiranti scrittori, nel loro chiedersi quale sia la forma migliore da dare alla loro urgenza espressiva, alla storia che hanno nel cuore, alla lingua che sentono di volere esercitare per creare qualcosa al di là della comunicazione di tutti i giorni.
Bene, il segreto che voglio oggi confidarvi per incoraggiarvi sulla strada che avete intrapreso convinti, o sulla quale invece vi interrogate più dubbiosi che mai, è che un editore non ha le idee più chiare in merito. O meglio, non intende averle. Ma come, direte voi, se non lo sa un editore che cos’è un romanzo, su chi dobbiamo contare? D’accordo, era una provocazione. Ma mica tanto, in realtà.
Diciamo che un editore sa bene che ognuna delle suaccennate teorie è perfettamente legittima e ha una sua validità.
Del resto un editore è anche un lettore, e in quanto lettore sa bene qual è la tipologia di romanzo che meglio incontra i propri gusti. Tuttavia egli sa anche che fare l’editore non significa fare il lettore, e che tra queste due dimensioni esiste ovviamente un rapporto che tuttavia va attentamente disciplinato.
Perché un editore intuisce come pubblicabile non sempre e non solo uno scritto che il suo gusto di lettore identifica come più rispondente alla forma romanzesca da lui preferita. Epistolare, storico, d’avventura, intimistico, un editore dovrebbe in realtà scommettere sulla tenuta di questo o quel testo su un pubblico che lui immagina coerente con quel tipo di narrazione.
La predilezione per un tipo o un altro di romanzo da parte sua starà semmai nella corretta interpretazione della missione della casa editrice nella quale lavora, e quindi nella sua capacità di intercettare testi che di quella missione si facciano ideale veicolo.
Per questo, tra i consigli che mi capita spesso di dare a chi vuole inviare un suo testo agli editori, c’è quello di cercare sempre di capire quale sia la specifica vocazione di un marchio editoriale.
C’è piuttosto un altro aspetto che a un editore è assai più chiaro, rispetto a quello che un romanzo debba essere, ed è esattamente ciò che un romanzo NON dovrebbe essere.
Attenzione, però, si tratta di accorgimenti preventivi apparentemente facili da mettere in pratica ma sui quali molte aspirazioni si infrangono:
1. Un romanzo NON è il racconto della vostra vita. Quasi sempre le vite reali delle persone reali non sono interessanti. Non fate l’errore di pensare che la vostra sia un’eccezione.
Esistono ovviamente stupefacenti romanzi che raccontano vite apparentemente ordinarie. In quell’apparentemente sta tutto lo scarto. La cifra del romanzo è l’invenzione.
2. D’altra parte, e la contraddizione è solo apparente, un romanzo NON può svolgersi con efficacia in un contesto che lo scrittore non governi profondamente. Mai cercare l’eccezionalità a scapito dell’autenticità. D’accordo, New York suona meglio di Busto Garolfo. Ma se è Busto Garolfo che conoscete, le sue strade, le sue luci, i suoi odori, scriverete un romanzo migliore se lo ambienterete in un posto che gli somiglia.
Se però volete a tutti i costi ambientare le gesta del vostro eroe nella Cornovaglia del diciassettesimo secolo, ho un unico consiglio: studiate, studiate e studiate, prima di scrivere.
3. Può sembrare banale sottolinearlo, ma un romanzo NON può non poggiare su una base solidissima di letture, che non vuol dire semplicemente avere conoscenza e cultura ma, cosa più importante, significa avere modelli da assorbire, prendere a prestito, inevitabilmente copiare, per poi rielaborare personalmente.
Se volete fare gli scrittori e non avete degli scrittori a modello, chiedetevi il perché. E mi raccomando, siate sinceri con voi stessi. Ne va della vostra carriera.
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