Da qualche settimana ho iniziato a fare un gioco con i miei alunni. L’ho chiamato “il gioco delle domande”. Lo facciamo ogni giorno alla fine della lezione, una decina di minuti prima che suoni la campanella, quando gli zaini sono già pronti e le giacche sono adagiate sui banchi in attesa di essere indossate. Lo facciamo perché i bambini non hanno soltanto bisogno di sapere qual è la formula dell’area del quadrato o in che anno si sono estinti i dinosauri; i bambini hanno anche bisogno di parlare, hanno anche bisogno di sapere che qualcuno è pronto ad ascoltarli. Lo facciamo perché a un certo punto mi sono accorta di essere troppo concentrata sui risultati da ottenere e non sui loro occhi, e se non li guardi negli occhi, i bambini, prima o poi li perdi. Perdi la loro attenzione, la loro stima e per finire il loro cuore.
La prima domanda che ho fatto per rompere il ghiaccio è stata “avete paura di volare?” e le loro risposte mi hanno stupito. Non mi ricordavo che a sette anni si potesse essere così terrorizzati dalle cose belle.
La seconda domanda è stata “vi piacciono gli abbracci?”. Qualcuno è rimasto in silenzio, qualcun altro ha risposto di sì con entusiasmo, senza indugi, ed è andata a finire che me li sono ritrovati tutti avvinghiati intorno alle gambe ed è stato un miracolo se non siamo caduti per terra. Sono usciti da scuola ridendo, quel giorno lì, che per me è una delle dieci cose più belle che possano capitare nel mondo.
La terza domanda è stata “secondo voi a cosa ci serve saper scrivere?”. Un bambino mi ha risposto candidamente “ci serve per fare i compiti”, un altro, con l’aria di chi sa già tutto, ha aggiunto “ci serve per fare la nostra firma”. Una bimba piuttosto pragmatica mi ha detto “ci serve per diventare dottori” e un’altra un po’ più romantica ha ribattuto “no, secondo me ci serve per scrivere le lettere ai fidanzati”. Ad un certo punto è intervenuta la bambina dell’ultimo banco, quella che non si sente quasi mai, e con un filo di voce ha detto “scrivere ci serve quando non riusciamo a parlare con nessuno” e mentre pronunciava quelle parole si vedeva che si sentiva morire, che aveva durato una fatica immane per tirarle fuori. Subito dopo è suonata la campanella, così nessuno ha fatto caso alla sua frase, tranne me.
Quella bambina, senza volerlo, mi ha ricordato perché. Uno a volte se lo dimentica, ed è quasi come dimenticarsi il proprio nome o il proprio indirizzo: ti senti perso.
Quella bambina mi ha ricordato quanto fosse faticoso avere un mondo nel cuore e non riuscire a donarlo a nessuno. Mi ha ricordato che c’è chi scrive per salvarsi, chi per amore, chi per raccontare una storia, chi per liberarsi del proprio passato, chi per evadere dalla realtà. Io, invece, ho sempre scritto per combattere la solitudine.
È per questo che lunedì, durante il nostro gioco, farò una domanda un po’ più difficile delle altre. “Vi sentite mai soli?”, chiederò, e se qualcuno mi risponderà di sì gli regalerò una penna ed un blocchetto e gli racconterò la mia storia, gli racconterò di quando mi chiudevo in camera con i miei quaderni dalle pagine ingiallite e mi sentivo piena di magia. Gli racconterò che chi scrive, esattamente come chi legge, non sarà mai solo.
L’AUTRICE – Sempre d’amore si tratta (Mondadori) è il nuovo libro di Susanna Casciani, scrittrice molto seguita sui social e insegnante di scuola primaria a Pistoia.
Fonte: www.illibraio.it
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