Scrivere un romanzo, ne sono abbastanza certo, è l’attività umana più fastidiosa tra tutte, perché sotto a tutte striscia e giace e tutto finisce per inglobare e rendere fastidioso. Tutto diventa un’appendice dello scrivere e tutto diventa una fatica. Il cane del vicino che abbaia, il semaforo che non scatta, fare la spesa, cucinarsi, camminare, parlare, tutto diventa un momento dello scrivere e tutto diventa brutto.
Normalmente, ci si sveglia e si va al lavoro e tornando si fa questo e quello e alla fine della giornata sarà possibile lamentarsi dei colleghi, del traffico, del capo, della cassiera del supermercato e del tabaccaio. Chi scrive, invece, alla fine della giornata potrà lamentarsi solo di quanto scritto, e quindi di se stesso. Il mondo, allora, con l’andare dei giorni, diventa un puntino lontano e il suo funzionamento, a chi scrive, appare così complicato da dover tagliare qualsiasi contatto, oppure sarà impossibile scrivere quello che intendo scrivere, ma ancora non so come, e cosa riguarda, e perché lo voglio; tante sono le domande da porsi e molte non sono piacevoli d’ascoltare, figurarsi da rispondere. Eppure è una funzione biologica che va svolta come le altre, forse senza pensarci troppo, ammesso sia possibile, anche perché pensarci è rischioso e per nulla, per un dettaglio si finisce al manicomio e tutto, in un attimo, potrebbe sempre andar peggio di come già sta andando.
Per esempio, peggio dello scrivere, posto che scrivere rimane una cosa fastidiosa ma al paragone diventa bella come andare al mare o come una giornata di pioggia dopo un caldo afoso durato mesi, senza interruzioni, è quando scrivi senza avere un titolo per il tuo lavoro. Più precisamente, scrivere con la consapevolezza che il titolo definitivo non è nemmeno lontanamente all’orizzonte e non comparirà presto. Scrivere che poi diventa rileggere, riscrivere, revisionare, il pacchetto completo, ma senza la bandiera da seguire, senza stella cometa, senza una delle tante traiettorie che potresti prendere e, soprattutto, senza quella giusta. La più giusta tra tutte.
Ho aperto il file che poi è stato rinominato Il nostro meglio, e cioè il romanzo ora pubblicato da La nave di Teseo, il 30 dicembre del 2019, quindi dodici giorni dopo la consegna definitiva di Giovanissimi. Perché avevo compreso che a Capodanno non avrei fatto nulla e che quindi potevo lavorare in tutta tranquillità mentre il resto del mondo festeggiava. Ho scritto il 31 dicembre e l’1 gennaio, il primo capitolo di quello che sarebbe divenuto Il nostro meglio. Ho salvato quel file nominandolo LIBRO, tutto maiuscolo. Non l’ho riaperto fino al 9 marzo. In mezzo c’è stata la pubblicazione di Giovanissimi, la dozzina dello Strega e una pandemia globale. Lockdown: un po’ penso di dover scrivere e un po’ che devo. Mi sveglio presto e lavoro. Accade di tutto in giro per il mondo ed io lavoro. Il file viene rinominato: ora si chiama PER SEMPRE, ancora tutto maiuscolo. E così si è chiamato fino alla fine della prima stesura e così è stato fatto leggere agli addetti ai lavori e agli amicilettorifidati. Non era nemmeno lontanamente il titolo definitivo, ma, appunto, mi lasciava osservare una delle traiettorie che stavo percorrendo: quella di scrivere di sentimenti veri per sempre, perché per sempre uguale a se stessi, inscalfibili, interminabili.
E così si è chiamato fino all’altro anno nuovo. Ovvero quando, durante una revisione durata quattro mesi di stenti, durante i quali mio nonno è morto e non ha mai smesso di piovere, è saltato fuori il titolo nuovo: L’ALTRO MONDO, per l’ennesima volta scritto urlandolo.
Mi piaceva perché più volte nel romanzo viene utilizzata l’espressione “nella realtà”, come a dire che esiste un mondo e ne esiste anche un altro, immaginifico, composto di sole sensazioni, un mondo dove era possibile una certa tenerezza ora andata esaurita, un mondo scomparso definitivamente con la morte di mio nonno, nella realtà, e poi mi piaceva il suono, come suonava, ma non ero d’accordo: certe cose non finiscono, e basta. Anzi, chi resta è la continuazione di quanto è stato, a suo modo, ognuno riceve in dote il mondo e lo porta avanti come può e vuole. Però suonava meglio di PER SEMPRE, e quindi il file venne rinominato ed esiste anche una bozza con questo titolo, con la copertina in blu.
Poi, si fa primavera, una primavera che sembra piovosa o forse lo è e L’ALTRO MONDO viene accantonato, perché renderebbe, forse, il contenuto del romanzo lontano dal mondo in cui intende esistere e perché un altro libro, di Fabio Deotto, viene pubblicato con questo stesso nome.
Urge un titolo, dunque, anche con molta fretta.
Penso: ecco, mo mi blocco. Sul più bello, per una singola cosa, mi blocco del tutto.
Invece, accade che una sera che sto guardando un film che poi non ho più avuto la concentrazione per continuare a seguire, penso che la cosa che più mi sta antipatica di questo mondo, del mondo che proprio non vorrei, è che si è sempre costretti a fare del proprio meglio. Che è possibile ottenere quel che vuoi, ma per alcuni, per quelli come me, per le persone di cui scrivo, per i miei personaggi, per noi, per far accadere qualcosa di buono sono necessari degli sforzi. Che se nulla fai nulla accadrà. Che mai avrai il tempo per essere disperato e basta. Che non servono soltanto degli sforzi, ad esser sinceri, ma di fare del proprio meglio, di mettercela tutta. Penso: Del nostro meglio. Scrivo la frase. La scrivo minuscola. Eureka.
Mando una mail a Oliviero Toscani.
Gli spiego le mie motivazioni. Mi risponde, su per giù, una cosa che poi ho capito essere vera: Il, dice. Il nostro meglio. Suona, e afferma lo stesso concetto ma più precisamente.
Sì, mi dico, ma più precisamente può significare escludere il resto. E questo mi sono domandato e questo è stato il dubbio fino a che mi sono detto di no, che se hai provato con tutto te stesso a fare una cosa allora non hai fatto del ma il tuo meglio, anche se la grammatica sembra non esser d’accordo. È che serve ammetterla la propria passione, se no è solo carta da parati, soprattutto se ti tira giù e non su.
Il nostro meglio.
Da quando è stato trovato non l’ho mai messo in dubbio. Anzi, ha costituito la forma base da seguire e che ha modellato e reso più precise alcune intenzioni dei personaggi, o tolto parole ai dialoghi.
È stato ritenuto giusto, e questo è tutto. Per la prima volta mi sono trovato a scrivere soltanto e a scrivere un romanzo che vedevo ma che non sapevo chiamare. Gli ho dato un nome solo dopo averlo conosciuto, e non è stato piacevole attendere, eppure ora sembra un ricordo che riguarda qualcun altro, non certo me. E per certi versi, anche una questione di nessuna importanza.
L’AUTORE E IL LIBRO – Alessio Forgione è nato a Napoli nel 1986. Il suo romanzo d’esordio, Napoli mon amour (NN), ha vinto il premio Berto 2019 e il premio Intersezioni Italia-Russia; è stato tradotto in Francia e Russia. Il suo secondo romanzo, Giovanissimi (2020, NN), ha vinto il premio Comisso giovani 2020 ed è stato selezionato nella dozzina del premio Strega.
Ora Forgione torna in libreria con Il nostro meglio (La Nave di Teseo), ambientato a Bagnoli. Il protagonista è Chiccù, cresciuto con i nonni in una famiglia modesta, in una casa e una vita fatta di stenti, piccole cose, bestemmie che volano ma senza cattiveria e una saggezza popolare che sa andare al cuore delle cose.
Ora è all’università e vive con i genitori. È un ragazzo taciturno, si è appena lasciato con la fidanzata storica, si rifugia in qualche lettura, qualche serata di musica con l’amico Angelo e qualche canna svogliata. Suona la chitarra e sogna di fare un disco. Con regolarità va a trovare la nonna, quella nonna che l’ha cresciuto, che gli pare più avanti di tutti gli altri, che fuma, ama i murales, sa arrabbiarsi per le cose giuste e voler bene alle persone giuste. Ma è qui che arriva la tragica notizia: la nonna ha un tumore al pancreas, proveranno a fare un intervento ma le speranze sono poche. E così inizia il countdown.
Le restano solo pochi mesi, gli stessi che scandiscono i successivi capitoli, e descrivono il dramma della perdita. Il nostro protagonista non può pensare che quella persona che è stata sempre la colonna portante della sua vita possa non esserci più. Cerca di reggere, di non pensarci, di trovare qualcos’altro; ma se si avvicina a qualcosa di bello si sente in colpa, perché intanto la nonna sta morendo. Come quando conosce Maria Rosaria e Anna, ma non riesce a impegnarsi con nessuna delle due.
Nel frattempo Angelo, il suo vero e unico amico, è sempre più depresso: la vita a Bagnoli lo soffoca e decide di andarsene a Londra per non tornare mai più. E così, mese dopo mese, arriviamo alla fine del countdown, al capitolo zero. Tutto ciò che accade dopo è per sempre.
Fonte: www.illibraio.it
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