Se siete insegnanti o lavorate in una redazione, correggere errori grammaticali sarà il vostro pane quotidiano. Anche in diversi altri contesti, però, che siano lavorativi in senso lato o legati alla nostra sfera privata, ci può capitare di sentire qualcuno coniugare male un verbo, incespicare con uno spelling o piazzare male un accento tonico. Sarà il caso di farglielo notare?
Se non avete ancora maturato una risposta adatta a tutte le occasioni, è perché in realtà sarebbe impossibile stabilire a priori quando sia il caso o meno: la risoluzione di questo dilemma etico dipende da una serie di fattori, e correggere errori altrui può dare frutti stimolanti o rivelarsi causa di attriti.
Proviamo insieme a capire come scegliere di volta in volta l’azione più adeguata, prendendo spunto dai tre filtri di Socrate e partendo dal presupposto che nemmeno correggere errori è un atto giusto o sbagliato di per sé.
Il grande filosofo greco, in un aneddoto che si riprende tuttora nelle scuole, chiese a un suo conoscente se quello che stava per raccontargli su un loro amico in comune fosse assolutamente vero. Trasposta nel nostro discorso, la sua domanda suonerebbe così: ciò che stai per dire è corretto?
Capita, infatti, che ci si convinca di sapere rimediare a una svista ortografica o a una défaillance ascoltata oralmente, salvo poi scoprire che la regola non era esattamente come la si ricordava. Il più delle volte succede in buona fede, ma in ogni caso è sempre bene accertarsi di non correggere errori inesistenti prima di procedere.
Per riuscirci, esistono molte risorse e strumenti online che permettono non solo di scrivere in modo più preciso ed efficiente, ma anche di verificare in un batter d’occhio qualunque dubbio grammaticale: perché non approfittarne per consultarle?
Sempre nello stesso dialogo, Socrate domandò al suo interlocutore se quanto stava per riferirgli era qualcosa di buono o gentile. Soffermarsi su questo punto è fondamentale per capire fino a che punto correggere errori a cui abbiamo appena assistito possa rivelarsi utile o meno.
Stiamo usando un tono conciliante e costruttivo? Abbiamo modo di confrontarci in maniera diretta con chi ha fatto uno scivolone? Una nostra considerazione in merito potrebbe venire accolta con gratitudine e suggerire nuovi spunti di riflessione per un dibattito sul piano grammaticale (e non solo), permettendo a chi ci circonda di imparare costruttivamente dall’accaduto e di sentirsi aiutato dal nostro intervento?
Se la risposta è no, conviene forse optare per una maggiore discrezione, o comunque rimodulare il nostro approccio, mettendoci nei panni della persona con cui interagiamo e provando a entrare in comunicazione con lei, anziché limitarci a “bacchettarla”.
Se anche il nostro contributo ci sembrasse accreditato, le nostre parole andrebbero comunque precedute da un’ultima domanda ispirata a Socrate, che probabilmente è la più delicata delle tre: correggere errori è davvero necessario?
Per rispondere, bisogna avere ben presente il contesto. Potremmo infatti ritrovarci in una situazione che prevede dei turni di parola brevi e serrati, o in cui i rapporti tra le parti sono tesi, o magari abbiamo di fronte a noi anche solo una persona suscettibile, o vulnerabile, o che per qualche motivo si sente già di per sé in difficoltà.
In tutti questi casi, correggere errori che ci è parso di ascoltare o di leggere è forse inopportuno, non tanto perché non sia corretta, utile e ben posta la nostra osservazione, quanto perché arriverebbe in un momento poco fertile. Ciò significa che risulterebbe più saggio rimandare il discorso a un’altra occasione, o aspettare di capire come si evolve la situazione.
Dopotutto, l’abitudine a correggere errori di grammatica, così come la possibilità di commetterli per un lapsus o per altre ragioni, ci riguarda tutti e tutte, e adottare un buon galateo comportamentale non può che giovare sia a chi padroneggia meglio la lingua italiana sia a chi ha ancora qualcosa da apprendere.
Fonte: www.illibraio.it
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