Nella vita di tutti giorni, il dialogo è il mezzo con cui entriamo in relazione con le altre persone: amici, famigliari, colleghi, semplici conoscenti e persino sconosciuti. Per questo, anche all’interno di un romanzo, il confronto verbale è un elemento essenziale per costruire una storia, tratteggiare il carattere di un personaggio, far evolvere il corso degli eventi e molto altro ancora.
Non sempre è facile, però, capire come scrivere dialoghi efficaci: gli elementi da tenere in considerazione sono molti, e l’inesperienza può portare un aspirante scrittore a definire un’interazione poco credibile e macchinosa.
In questa guida tratteremo le diverse forme di dialogo, l’uso corretto della punteggiatura e gli errori da non compiere durante la scrittura, con l’obiettivo di padroneggiare sempre meglio gli elementi della narrazione.
Prima di presentare consigli e suggerimenti su come scrivere dialoghi convincenti, partiamo dalle basi.
Il dialogo è la forma di comunicazione verbale tra due o più persone, con il fine di esternare emozioni, idee e pensieri di ogni tipo. Nonostante quella verbale non sia l’unica modalità di comunicazione tra esseri umani, è indiscutibile che il dialogo faccia parte della quotidianità di ogni individuo, non solo per esprimere sentimenti e concetti importanti, ma spesso anche per “parlare del più e del meno” e fare small talk -“un tipo di discorso informale che non copre argomenti funzionali di conversazione”.
All’interno della letteratura, però, è molto difficile trovare uno scambio verbale che non abbia uno scopo, una funzione (anche implicita) da realizzare.
Se torniamo indietro di migliaia di anni, agli albori della filosofia socratica, il dialogo si presenta come uno specifico strumento di ricerca della verità, basato su discussioni e interrogazioni continue tra due o più interlocutori. Da questa modalità di discussione orale si è poi affermato il dialogo come vero e proprio genere letterario, rappresentato in modo emblematico dai Dialoghi di Platone.
Nel corso della storia il dialogo ha assunto diverse forme – a partire dal teatro, che mette letteralmente in scena le relazioni e gli scambi tra i personaggi. Per quanto riguarda il dialogo scritto, esso si è poi evoluto attraverso i secoli, dall’epica alla narrativa, dalla poesia alla prosa.
Nel romanzo moderno i dialoghi assumono una funzione mimetica, di imitazione della realtà: gli scambi tra i personaggi tentano infatti di simulare la reale comunicazione umana, e hanno quindi l’esigenza di essere plausibili. Una necessità non sempre facile da realizzare, come vedremo.
Andando più nello specifico, però, le funzioni di un dialogo possono essere quelle di:
All’interno di un romanzo o di un racconto, quindi, l’obiettivo di una conversazione è quello di essere verosimile, ma allo stesso tempo di comunicare qualcosa. I dialoghi che non soddisfano nessuna delle funzioni sopracitate, per quanto plausibili nella vita vera, difficilmente avranno spazio nella narrazione.
Esistono diverse possibilità per descrivere un dialogo all’interno di un romanzo.
Cominciamo dal discorso diretto, facilmente riconoscibile come una forma di dialogo, dato che riporta precisamente le parole pronunciate da un personaggio, circondate da specifici segni di punteggiatura (come virgolette e trattini) e accompagnate da verbi dichiarativi (come dire, affermare, chiedere…):
“Vorresti del tè?” le chiese Stefano con un sorriso.
Leggermente più complesso invece è il discorso diretto libero: le parole del personaggio vengono riportate senza modifiche, ma questa volta senza utilizzare verbi introduttivi e, spesso, anche gli indicatori grafici come le virgolette. Proprio per questo motivo il discorso diretto libero è utile per riportare i pensieri interni dei personaggi.
L’uomo guardò l’orizzonte: finalmente libero!
Il discorso indiretto, invece, riformula una conversazione avvenuta, servendosi di specifiche regole: l’obiettivo è di riadattare il tempo dei verbi, i pronomi personali e gli indicatori di luogo in modo che il senso della frase rimanga lo stesso. Il passaggio da discorso diretto a discorso indiretto richiede quindi grande attenzione.
Sara disse a tutti: “Credo di essermi presa un raffreddore”. – Sara disse a tutti che credeva di essersi presa un raffreddore.
Per finire, il discorso indiretto libero riporta un discorso in forma indiretta, senza però che la frase sia preceduta da formule introduttive. È un tipo di discorso che permette di riportare espressioni specifiche del linguaggio parlato (come esclamazioni e interiezioni), molto utilizzato dai grandi narratori di fine Ottocento e inizio Novecento.
Traiamo un esempio da un passaggio di Mastro-don Gesualdo di Giovanni Verga. Nei suoi racconti e romanzi veristi lo scrittore siciliano si serve spesso del discorso indiretto libero, per riportare i pensieri dei personaggi attraverso la voce del narratore:
Egli invece non aveva sonno. Si sentiva allargare il cuore. Gli venivano tanti ricordi piacevoli. Ne aveva portate delle pietre sulle spalle, prima di fabbricare quel magazzino! E ne aveva passati dei giorni senza pane, prima di possedere tutta quella roba!
È importante capire la differenza tra queste forme di discorso per scrivere dialoghi ben pensati, sfruttando di volta in volta tecniche e punti di vista differenti.
Un altro passo fondamentale per imparare come scrivere dialoghi è quello di padroneggiare al meglio la punteggiatura. Come dicevamo, il discorso diretto si serve di specifiche forme grafiche per segnalare l’inizio e la fine di una battuta: virgolette basse o caporali (« »), virgolette alte (” “), trattini lunghi (—).
Quando si tratta di scegliere uno di questi segni di punteggiatura, non c’è “giusto” o “sbagliato”: ogni casa editrice adotta le proprie norme redazionali e definisce l’impostazione grafica dei dialoghi.
L’importante è scegliere sempre quale regola seguire prima di iniziare a scrivere, applicandola con precisione per tutto il testo.
Ovviamente esistono delle eccezioni all’uso di questi classici segni grafici: è il caso di quegli autori che hanno fatto del loro modo di scrivere i dialoghi un tratto distintivo. Prendiamo come esempio un passo di Cecità (Feltrinelli, traduzione di Rita Desti), romanzo dello scrittore portoghese e premio Nobel José Saramago, nel quale i dialoghi dei personaggi sono separati solo attraverso una virgola e una lettera maiuscola:
Il medico gli domandò, Non le era mai accaduto prima, voglio dire, la stessa cosa di adesso, o qualcosa di simile, Mai, dottore, io non porto neanche gli occhiali.
Esempi del genere sono rari e memorabili: per gestire al meglio i dialoghi, soprattutto nel caso di autori alle prime armi, è consigliabile attenersi all’uso delle virgolette alte, basse o del trattino lungo, facendo attenzione anche alla punteggiatura che chiude il dialogo. Anche in questo caso non esiste una sola regola, ma è fondamentale che il testo sia sempre chiuso da un segno di interpunzione, e che la modalità sia mantenuta coerente lungo tutto il testo:
“È un piacere vederti”.
“È un piacere vederti.”
«È un piacere vederti!».
«È un piacere vederti…»
Le virgolette basse (o caporali) si possono inserire facilmente da PC premendo Alt + 174 e Alt + 175 sul tastierino numerico. Per quanto riguarda il trattino lungo, si può inserire digitando Alt + 0151, ed è stabilito che venga chiuso solo quando il testo continua dopo la battuta:
— È un piacere vederti!
— È un piacere vederti! — disse Giorgio.
Potremmo andare avanti all’infinito a citare esempi e possibilità differenti. Il consiglio, però, è quello di iniziare a scrivere prendendo spunto da romanzi già conclusi: basterà un po’ di pratica e di attenzione per ottenere dialoghi ben strutturati e coerenti.
Non solo leggere romanzi, ma anche ascoltare il linguaggio di tutti i giorni può fornire molti spunti per scrivere dialoghi interessanti. Il linguaggio parlato, infatti, è molto diverso da quello scritto: è ricco di modi di dire, intercalari ed espressioni dialettali che possono essere aggiunti al dialogo (senza esagerare) per renderlo ancora più fedele al vero.
Che sia in bus, in fila alle casse del supermercato, a scuola o al lavoro, c’è sempre l’opportunità di osservare con attenzione il modo in cui si svolgono le conversazioni, per imparare il ritmo degli scambi e affinare le proprie capacità di scrittura. Come vengono pronunciate certe frasi? Qual è il comportamento degli interlocutori, la loro postura, la loro espressione facciale mentre parlano? Questi e molti altri dettagli non devono essere sottovalutati per imparare come scrivere dialoghi coinvolgenti.
Dopo aver ascoltato i discorsi quotidiani, sarà facile rendersi conto che non tutti parlano allo stesso modo: non solo ogni voce ha un tono e una cadenza differente (per non parlare degli accenti), ma ogni persona si serve di un particolare lessico a seconda del contesto e del grado di intimità con il suo interlocutore. Per esempio, difficilmente un figlio si rivolgerà a sua madre così: “Mi scusi, potrebbe passarmi lo zucchero?”, ma potrebbe farlo con un estraneo al bar.
Per questo, come abbiamo visto, una delle funzioni dei dialoghi è quella di definire la relazione tra due personaggi, senza per forza esplicitarla in una descrizione.
Un’altra possibilità offerta dal dialogo è quella di far capire in poco tempo il carattere e lo stato emotivo di un personaggio: una persona introversa e una estroversa non si comportano allo stesso modo, quindi anche il loro modo di parlare sarà diverso. Lo stesso vale per una persona triste e una arrabbiata, per un individuo euforico e uno annoiato, per un bambino e un anziano, e così via.
In questo sta la potenzialità (e anche l’insidiosità) dei dialoghi all’interno della narrazione. Con poche parole è possibile costruire e rappresentare molto più di un semplice scambio verbale: un mondo di relazioni, sentimenti e pensieri in continuo mutamento.
L’infodump (letteralmente “discarica di informazioni”) è la pratica di inserire nella narrazione un blocco di informazioni in modo improvviso e poco elegante: il contrario del principio narrativo dello show, don’t tell, che sottolinea quanto sia importante mostrare al lettore una situazione, piuttosto che descriverla esplicitamente.
L’infodump è una tecnica ancora più spiacevole se realizzata attraverso un dialogo, dato che contribuisce a rendere la conversazione irrealistica e paradossale. Un dialogo non deve essere finalizzato unicamente a spiegare un aspetto della trama ai lettori, soprattutto se è chiaro che un personaggio non avrebbe motivo di descrivere di nuovo una situazione già nota al suo interlocutore.
“Ricordi quello che è successo l’anno scorso? Il terribile incendio che ha devastato la nostra casa?”
Per evitare questo errore basta chiedersi: questo dialogo potrebbe avvenire nella realtà? Come posso comunicare questa informazione in modo credibile?
Passiamo infine a parlare della didascalia, un elemento da non trascurare per scrivere dialoghi completi. La didascalia è il testo che precede, inframezza o segue un dialogo, chiarendo le azioni e il pensiero di colui o colei che parla. In questo modo ciò che viene comunicato nel discorso viene ulteriormente arricchito da elementi di comunicazione non verbale.
È grazie alla didascalia che possiamo comprendere le reali intenzioni di un personaggio: capire se sia sincero o meno, se stia facendo ironia o se invece sia in buona fede.
“Mi dispiace di averla disturbata”, disse Irene nascondendo un sorrisetto.
Attenzione però a non ripetere nella didascalia lo stesso concetto già comunicato nel dialogo:
“Hai proprio ragione”, disse Marco, annuendo con convinzione.
La didascalia non è obbligatoria: serve a fornire ulteriori dettagli e a orientare i lettori durante lo scambio di battute. Non è quindi un problema tralasciarla, se il dialogo è già sufficientemente chiaro e coinvolgente.
Fonte: www.illibraio.it
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