Chi ama leggere, così come chi si cimenta con la scrittura, lo sa: esistono davvero infiniti modi di raccontare la stessa storia. Perché molto dipende dallo stile che adottiamo, dai trope che inseriamo nell’intreccio, da come utilizziamo i dialoghi.
E, naturalmente, dalla prospettiva da cui presentiamo le vicende. In certi casi, infatti, scegliere di riportarle in prima o in terza persona può fare tutta la differenza, così come fornire o meno alcuni dettagli al nostro pubblico (in particolare nel caso di un libro giallo, per esempio) o concentrarci su un personaggio piuttosto che su un altro.
Ecco quindi un’efficace guida dedicata ai tipi di narratore e di focalizzazione fra cui scegliere, per orientarsi tra le differenze riguardanti questi concetti e per servirsene al meglio in ogni circostanza…
Con il termine narratore si indica la figura che racconta una storia all’interno della finzione letteraria. La sua definizione non è quindi da confondere con quella di autrice o autore, parola che invece si riferisce a chi ha realmente scritto una storia.
Per capirci, l’autore del romanzo Robinson Crusoe è il giornalista inglese Daniel Defoe, ma il narratore dell’opera è un naufrago di fantasia, che si chiama Robinson Crusoe e che è peraltro il protagonista del libro.
Chiaramente ci sono delle volte in cui il narratore sembra coincidere con l’autrice o autore di un’opera (un esempio classico è quello delle autobiografie o dei memoir), ma è importante ricordare che all’interno del testo il narratore rimane un’entità distinta e separata, che di tanto in tanto potrebbe dire, fare o pensare cose in cui chi scrive non si rispecchia, o che non corrispondono alla totale verità (come quando Dante Alighieri racconta il proprio viaggio allegorico all’interno Divina Commedia).
È inoltre fondamentale distinguere le due principali tipologie di narratore, ovvero quello cosiddetto interno e quello noto invece come esterno. Un narratore interno (o omodiegetico), come nei casi appena citati, coincide con un personaggio presente nel testo, che non deve necessariamente essere l’eroe positivo, ma che potremmo anche identificare in una figura secondaria o in un antagonista.
A sua volta, il narratore interno può essere autodiegetico se si concentra su eventi che sono capitati proprio a lui, oppure allodiegetico se al contrario ci racconta eventi relativi ad altri personaggi della storia (come l’Anonimo ne I promessi sposi di Alessandro Manzoni).
Il narratore esterno (o eterodiegetico), invece, non interviene personalmente nell’intreccio e può conoscere solo alcuni dei fatti narrati, limitandosi a descriverci una sorta di testimonianza oculare della storia (vd. i romanzi naturalisti e veristi di fine Ottocento), oppure configurarsi come un narratore onnisciente se conosce a menadito le vicende che ci descrive, gli stati d’animo dei personaggi, il loro passato e futuro (come accade, fra gli altri, ne Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien).
Al di là di queste categorizzazioni, il narratore di ogni opera letteraria può essere considerato palese quando i suoi interventi sono intervallati da considerazioni personali e da commenti sulla storia che riporta, o viceversa nascosto quando la sua esposizione dei fatti non si mescola alle sue opinioni o interpretazioni dell’accaduto.
Infine, qualunque tipo di narratore fra quelli descritti potrebbe rivelarsi più o meno affidabile (o attendibile), presentandoci cioè le vicende in una maniera che solo in un secondo momento scopriremo se è stata onesta o ingannevole, per dei motivi più o meno volontari e con delle conseguenze spesso molto forti sulla nostra percezione generale della storia (è il caso de La coscienza di Zeno di Italo Svevo).
E veniamo ora alla focalizzazione, con cui si definisce più nello specifico l’angolazione da cui il narratore racconta una storia, ovvero il punto di vista che decide di adottare man mano che instaura un rapporto con chi legge il libro.
Nel caso in cui il narratore sia di tipo esterno e onnisciente, parleremo di un testo a focalizzazione zero, nel quale avremo la possibilità di accedere a tutti i pensieri, le emozioni e le vicissitudini legate ai personaggi, e in cui ci rimetteremo in toto alle conoscenze del narratore sull’argomento (come in Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen).
Se, invece, il narratore è sì di tipo esterno, ma non è onnisciente, ci troveremo davanti a un testo a focalizzazione esterna, in cui quindi il narratore ne saprà meno dei personaggi coinvolti nella trama, e potrà limitarsi a riferire solo ciò che ha visto o sentito (più o meno direttamente) sul loro conto, senza avere accesso alla loro interiorità o a ciò che non condividono con il resto del mondo (è il caso di Cime tempestose di Emily Brontë).
Infine, se il narratore è di tipo interno, il nostro sarà un testo a focalizzazione interna, all’interno del quale la figura che riporta i fatti potrà sapere soltanto ciò di cui è a conoscenza il personaggio che ha scelto di adottare come punto di vista, né più né meno.
Questo significa che, se Pippi Calzelunghe (protagonista dell’omonimo romanzo di Astrid Lindgren) è convinta che il suo papà sia ancora vivo e sia approdato su un’isola di cui è diventato re, il narratore non potrà mai rivelarci cosa gli sia successo realmente, perché ha deciso di narrarci la storia solo e soltanto dalla prospettiva di Pippi.
Le cose cambiano se, in un testo con narratore interno, si decide di adottare una focalizzazione variabile o in alternativa una focalizzazione multipla. Nella prima ipotesi, infatti, la vicenda ci verrà descritta dal punto di vista di due o di più personaggi, così da darci differenti informazioni e percezioni sugli episodi che si verificheranno (pensiamo a Gita al faro di Virginia Woolf).
Nella seconda ipotesi, invece, conosceremo sì l’ottica di svariati personaggi, ma in relazione allo stesso evento dell’opera: si tratta di un espediente che viene sempre più usato nei romanzi YA e nei romance contemporanei, in cui una stessa storia assumerà delle sfumature nuove e imprevedibili quando la ripercorreremo dal punto di vista dell’uno o dell’altro personaggio, come accade per esempio nella saga a dieci mani di Red Oak Manor, portata in libreria da Magazzini Salani.
In ultimo, ma non per importanza, concentriamoci su un altro aspetto da considerare insieme al tipo di narratore e di focalizzazione da adottare: l’uso della prima o della terza persona nella narrazione.
Tradizionalmente, nei libri con narratore esterno si tende a preferire la terza persona, mentre in quello con narratore interno è più comune la prima persona, ma va da sé che ci riferiamo a un’indicazione di massima, che in innumerevoli occasioni è stata infranta consapevolmente da grandi autrici e autori di ieri e di oggi.
Per di più, è importante ricordare che nulla vieta di scrivere un romanzo in seconda persona singolare o plurale (dando del tu al protagonista della storia, o del voi a un insieme di persone), in prima persona plurale (identificando il personaggio principale con un noi di cui fa parte anche il narratore) o addirittura in terza persona plurale, raccontando ciò che hanno fatto i componenti di uno o più gruppi di individui.
Uno degli intenti della letteratura, d’altronde, è quello di spingerci a riflettere, accompagnandoci lungo sentieri poco battuti e coinvolgendoci in situazioni inaspettate, che molte volte risultano ancora più d’impatto se ci vengono presentate da una prospettiva insolita, capace di spiazzarci e di stupirci più di quanto avremmo immaginato.
Fonte: www.illibraio.it
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