Ci sono persone con cui accade tutte le volte: stiamo parlando di loro ed ecco che d’un tratto si materializzano. Entrando nella stanza, telefonandoci, mandandoci un’email. Come se percepissero in qualche modo i nostri discorsi, sentendosi coinvolti e partecipando così (nel bene o nel male) alla conversazione in atto.
Parli del diavolo e spuntano le corna, si dice allora, spesso in maniera scherzosa, per lasciare intuire al diretto interessato che lo avevamo appena nominato.
Ma c’è anche un’altra espressione – forse a colpo d’occhio meno comprensibile, benché con una sfumatura apparentemente più neutra – a cui possiamo fare ricorso in circostanze del genere, ovvero lupus in fabula: scopriamola insieme.
Trattandosi di un detto latino, è facile intuire che la sua origine sia da far risalire ai tempi degli antichi Romani. E infatti, più nello specifico, l’espressione Lupus in fabula si attesta già nella commedia Adelphoe di Terenzio (190-159 a.C.), per poi essere ripresa da Plauto (255-184 a.C.) e da Cicerone (106-43 a.C.).
Quest’ultimo, in particolare, scrive nell’Epistola 13 ad Attico: De Varrone loquebamur: lupus in fabula venit enim ad me, raccontandogli in altre parole che si stava parlando di Marco Terenzio Varrone quando, come fa il lupo nelle favole, l’erudito si era avvicinato a lui.
E non è tutto, perché anche nell’Egloga IX di Virgilio (70-19 a.C.), contenuta nelle Bucoliche, si legge: Vox quoque Moerim Iam fugit ipsa: lupi Moerim videre priores. Che il vocabolario Treccani traduce come segue: Anche la voce stessa ha fuggito Meri: i lupi hanno visto per primi Meri.
Un modo di dire che è sopravvissuto secolo dopo secolo, arrivando fino a noi anche attraverso il grande Leonardo da Vinci (1452-1519), a cui è attribuita la celebre frase: Ancora si dice il lupo avere potenza, col suo sguardo, di fare alli omini le voci rauche.
Se tanti intellettuali hanno scelto proprio il lupo per indicare un animale che appare in maniera improvvisa e pericolosa sulla scena, è per via della sua costante presenza nelle Favole di Esopo (620-564 a.C.), poi riprese da Fedro (20 a.C. – 50 d.C.) e in molti casi rimaste famose ancora oggi (pensiamo alla favola nota come Al lupo! Al lupo!, o a Il lupo e l’agnello, o ancora a Il lupo e il cane…).
Nei loro testi il lupo viene associato a una figura temibile, che incute paura al punto da interrompere il discorso in atto e lasciare ammutoliti i presenti. Non per niente, nell’immaginario collettivo, si crede tuttora che chi vede un lupo perda la capacità di parlare (cfr. le espressioni Ha veduto il lupo o È stato guardato dal lupo).
Di fronte alla sua presenza minacciosa, del resto, proseguire la conversazione risulterebbe quasi impossibile – ed ecco spiegato come mai attualmente, quando la persona a cui ci stiamo riferendo si unisce a noi, ci blocchiamo d’un tratto ed esclamiamo proprio Lupus in fabula.
Come abbiamo visto, quindi, la locuzione affonda le sue radici nella cultura classica e, pur avendo addolcito con il tempo le sue sfumature di significato, porta ancora con sé una punta di superstizione, quasi che fosse possibile evocare per magia coloro che nominiamo.
Nell’ambito letterario, peraltro, è rimasta così iconica che nel 1979 il filosofo e semiologo Umberto Eco (1932-2016) l’ha ripresa nel titolo del celebre saggio Lector in fabula (La Nave di Teseo).
In questo caso il riferimento è al fatto che la cooperazione del lettore è fondamentale nell’interpretazione di un testo narrativo, motivo per cui il suo ruolo è quello di essere “sempre alle calcagna del testo“, proprio come un lupo con la sua preda. Ma potremmo anche considerarla una buona risposta alla domanda: “Quando utilizzare Lupus in fabula nella vita quotidiana?“.
Perché possiamo sì servirci di questa espressione idiomatica per evidenziare letteralmente la sovrapposizione tra il soggetto di una conversazione e la persona che ci ritroviamo di fronte. Ma potremmo anche ribaltarla o modificarla in base al contesto per darle una nuova vita, sottolineando per esempio l’effetto che i colpi di scena suscitano in noi fin dalla notte dei tempi.
L’importante, insomma, è che di tanto in tanto un lupo sulla scena appaia davvero, anche solo per restituire un po’ di vivacità ai nostri discorsi di ogni giorno…
Fonte: www.illibraio.it
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