“Le storie sono state usate per espropriare, e per diffamare. Ma le storie possono anche essere usate per ridare potere, e per umanizzare. Le storie possono spezzare la dignità di un popolo. Ma le storie possono anche riparare quella dignità spezzata”.
Quando la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie ha pronunciato queste parole, ho capito perché scrivere La rinnegata, col tempo, fosse diventata la mia ossessione. Scegliere di raccontare la storia di una donna che lotta per la propria indipendenza, e ambientare quella storia in Sardegna, mi stimolava perché era qualcosa che conoscevo; ma proprio per questo, mi esponeva anche al rischio di ricadere negli stereotipi. Essi sono spesso un modo veritiero ma troppo parziale di rielaborare la realtà che viviamo; ci costringono a semplificare i pensieri sulle persone e le correlazioni tra le cose, restituendone una versione monocromatica che ci rassicura ma rimane sterile.
L’APPUNTAMENTO CON “LIBIVE” SULLA PAGINA FACEBOOK DE ILLIBRAIO.IT – Mercoledì 28 aprile alle 18 Valeria Usala presenta La rinnegata con Nadia Terranova
L’elemento più interessante di questa vicenda, per me, era il rischio che venisse dimenticata. La sua lontananza nel tempo aveva giocato con la memoria di chi ne aveva sentito parlare, confondendola fino a rendere meno colpevole l’astensione dal giudizio. Ma era proprio quel silenzio ad affascinarmi, e a rendere la mia ossessione doppia. Da una parte volevo raccontare i pregiudizi del passato, in grado di diffamare la dignità altrui, per riflettere su quelli che persistono ancora oggi; dall’altra, avevo la necessità di riparare quella dignità spezzata interrompendo un silenzio che durava da decenni. Pagina dopo pagina mi accorgevo che questa storia, in gran parte frutto della mia fantasia, era anche conseguenza di una responsabilità, molto reale, della quale mi ero fatta carico. E tutto ciò rendeva l’atto stesso di scrivere, un delicato esercizio di potere.
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Le storie migliori hanno tutte una forza motrice che spesso coincide con un sentimento profondo; qualcosa che siamo in grado di condividere perché ne abbiamo fatto esperienza. Per me, quel sentimento era la rabbia. La protagonista del mio romanzo era colpevole di aver osato sognare la libertà. Perciò, la mia rabbia era conseguenza di un’ingiustizia, e quell’ingiustizia era figlia di un sistema che ancora oggi autorizza discriminazioni profonde. In questa storia, le dinamiche di potere facevano coppia con la differenza di genere, rendendo la sopraffazione assoluta e ancora più lampante. Gli eventi presentavano una donna come la vittima di circostanze che sembrano destinate a non cambiare mai. Le mie parole, invece, avevano il potere contrario: evitare di rendere quella versione della storia la sua versione definitiva.
Scrivere non è stato un processo indolore, anzi; mi ha costretto a mettermi a nudo, mi ha esposto al giudizio e mi ha insegnato l’importanza della disciplina. Nel pensiero comune, spesso l’artista è colui che ha la fortuna di non lavorare. Quasi come se il talento di cui è provvisto sia, in fondo, il requisito fondamentale per creare l’opera senza grandi fatiche. E invece, nonostante si sforzi di non cadere negli stereotipi, nonostante riconosca l’emozione che lo smuove dentro, nonostante cerchi di applicare tutte le tecniche e i consigli giusti, chi sceglie di raccontare storie non avrà mai vita facile. Se scrivere diventa una necessità, necessariamente diventerà anche un’ossessione, un tormento. E allora non mi rimane che un’unica, grande consolazione (che poi è anche una speranza): dai più grandi tormenti dell’uomo sono nati i più grandi cambiamenti del mondo. Dobbiamo solo continuare a leggere, scrivere e sognare in grande.
L’AUTRICE – Valeria Usala ha 28 anni. È nata e vive a Cagliari. Dopo una laurea in Lingue e Comunicazione e un diploma in Storytelling, collabora con una rivista di cinema. La rinnegata (Garzanti) è il suo romanzo d’esordio.
Senza un uomo accanto, una donna non è nulla. Teresa ha sempre sentito l’eco di questa frase, come il vento durante la tempesta, ma non ci ha mai creduto. Lei che è quiete e fuoco, rabbia e tenerezza, lotta contro questo pregiudizio da quando è nata. Da quando, rimasta orfana, non ha mai avuto nessuno a proteggerla dalla sua intelligenza, oltre che dalla sua bellezza. Un intero paese la rinnega, impaurito davanti alla sua indipendenza, alle sue parole e ai suoi gesti. Perché in fondo, sono tutto ciò che la rende diversa dalle altre donne. Nemmeno l’aver creato una famiglia con un uomo che ama ha messo a tacere le malelingue e i pettegolezzi. Nessuno crede che la sua fortuna, derivante da un emporio e una taverna che ha costruito e gestisce da sola, sia frutto di fatica e tenacia. Ma le voci sono sempre rimaste solo voci, anche quando a rispondere a tono è una bruja come Maria, che vaga per le strade senza una meta precisa. Poi tutto cambia, e Teresa si ritrova costretta a difendere ciò che ha conquistato per dimostrare che può farcela da sola. Che non rinunciare a se stessa significa essere libera. Vuole dare a quel vento, pieno di parole feroci, un afflato nuovo; ma il pregiudizio è forte e saldo, come una radice ancorata alla terra.
Quella narrata da Usala è una storia di coraggio e rinuncia, un romanzo in cui la Sardegna è protagonista con la sua natura, le sue leggende e le sue contraddizioni.
Fonte: www.illibraio.it
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