Prosegue la nostra “indagine” dietro le quinte della scrittura e della pubblicazione di un libro. Questa volta abbiamo fatto alcune domande su come si scrive (e si pubblica) un romanzo a Maurizio Maggi, autore dell’Enigma dei ghiacci, pubblicato da Longanesi. Il suo romanzo contiene tutti gli elementi che concorrono a realizzare un perfetto romanzo d’avventura: è una storia mozzafiato nelle terre più estreme del pianeta, con protagonisti indimenticabili che si muovono in un mondo in preda a sconvolgimenti sociali, economici e climatici, alla ricerca della salvezza non soltanto per sé, ma per l’intera umanità. Maurizio Maggi è nato a Torino nel 1956, ed è ricercatore in un istituto di studi socio-economici. Si è occupato a lungo di musei, lavorando – in Italia, ma anche in Australia, Brasile, Cina – con comunità e istituzioni locali: il terreno nel quale è maturato l’interesse per la scrittura in ambito narrativo. È stato finalista al Premio Italo Calvino 2014.
Da che cosa parti per scrivere un romanzo?
Il punto chiave da cui parto è qualcosa che mi accende la fantasia, non importa cosa. Per L’enigma dei ghiacci è stata la scoperta di un posto incredibile come il lago Vostok. Poi contano personaggi e trama generale.
Durante la stesura di un romanzo ti dai dei tempi?
Scrivo nei fine settimana o, se esco presto dal lavoro, anche prima di sera. Non fisso scadenze per i primi due o tre capitoli, poi sì: un capitolo a settimana più o meno, e verso la fine del libro anche due. Non comincio a scrivere se non ho in testa almeno tre o quattro capitoli di fila e scrivo circa 15-20000 caratteri a settimana, ma a volte devo saltare una settimana. In vacanza di solito recupero.
Dove, quando e come scrivi?
Scrivo quasi sempre al bar, davanti a una tazza di caffè. Il mio preferito è in piazza Vittorio, a Torino: un locale sabaudo con tavolini di marmo e boiserie alle pareti, e camerieri discreti che non ti chiedono cosa stai scrivendo. Il tardo pomeriggio è un ottimo momento, ma soprattutto è quello in cui finisco di lavorare: prima non riuscirei a scrivere comunque, per cui mi sono abituato a fare così. Poi magari vada avanti anche di sera, mai fino a tardi.
Quando inizio a scrivere un romanzo, voglio avere una visione chiara della trama. Ad esempio, non posso mettere tre capitoli d’azione in fila o, se i punti di vista sono tanti, lasciare che uno prevalga per troppe pagine, quindi mi prefiguro le traiettorie evolutive dei personaggi principali, le vedo come storie parallele di persone che cercano di realizzare le proprie agende. Queste prima o poi s’intersecano, il che genera conflitti o alleanze. Ma ogni traiettoria deve avere una sua storia, una logica indipendente da quella degli altri personaggi (ovviamente all’inizio, poi devono convergere).
Durante la stesura del libro, poi, tengo d’occhio l’equilibrio delle varie parti. Se ho fatto bene quelle precedenti, la fase della stesura è la più facile e divertente. È bello vedere il libro che cresce e pensare che il tuo progetto iniziale prende forma.
Quando hai iniziato a scrivere, avevi un altro lavoro?
Ho cominciato a scrivere nel tardo 2009 e facevo lo stesso lavoro di oggi: il ricercatore in economia presso un istituto pubblico di Torino. All’epoca pensavo che pubblicare con una grande casa editrice mi avrebbe cambiato la vita.
Come equilibri tempo della scrittura e del lavoro?
Mi alzo ogni mattina verso le 6 e verso le 8 sono al lavoro, smetto nel pomeriggio e tornando a casa mi fermo al bar, dove scrivo. A casa rileggo e rifinisco. Il bar è un ottimo posto anche per leggere (da quando ho cominciato a scrivere, leggo 40-50 romanzi l’anno, dei generi più vari).
Che importanza hanno le riscritture?
Riscrivo in continuazione, fino alla fine del romanzo, ogni singolo capitolo. Ma la prima riscrittura è la più efficace, dopo sono solo limature, almeno fino a quando un punto di vista esterno ed esperto non mi spinge a cambiare. Durante la scrittura però tengo d’occhio aspetti come ritmo e predominanza dei personaggi, perché intervenire dopo sarebbe complicato.
Quando ti accorgi che il libro è finito, che è pronto per i suoi lettori?
Solo quando un editor esperto mi dice che più o meno va bene. Adesso c’è Longanesi, in passato ho fatto ricorso tre o quattro volte a servizi di valutazione professionale. Mi hanno insegnato molto.
Da chi hai ricevuto i consigli migliori durante la stesura di un romanzo?
Da editor professionisti: le agenzie serie fanno schede piene di consigli utilissimi. Nella parte finale di L’enigma dei ghiacci, c’era lo staff Longanesi, l’editor della narrativa soprattutto. Anche la partecipazione a concorsi per racconti brevi, quando ho cominciato a scrivere, è stata una bella scuola.
Li hai seguiti? Ti sono serviti?
Sempre, salvo non fossero fra loro in conflitto. Non ne ho la prova, ma io credo che mi siano serviti. Dopo averli applicati, mi sono sempre sentito più soddisfatto del mio lavoro.
Come hai pubblicato il primo libro?
Sono arrivato alla finale del Calvino (con un altro libro, non con L’enigma dei ghiacci). Lì l’editor di Longanesi mi ha notato. «Non è che hai intenzione di scrivere un thriller in futuro?» mi ha chiesto. In realtà l’avevo già scritto, gliel’ho spedito e così è cominciato tutto.
Cosa consiglieresti a uno scrittore esordiente?
Non sono nella posizione di dare consigli, ma posso dire cosa ho fatto io. Io voglio sapere cosa produrrò, m’immagino il libro finito, qualcuno che lo chiude dopo avere letto l’ultima pagina, se lo rigira nelle mani e si chiede: cosa mi ha lasciato in eredità questo romanzo? Quando questo è chiaro, comincio a raccogliere materiale informativo di ogni genere, saggi, romanzi, articoli sull’argomento. Per L’enigma dei ghiacci ho letto il diario di due donne che hanno attraversato davvero l’Antartide a piedi, blog di russi che erano stati a Vostok per anni, articoli tecnici sulla trivellazione, resoconti di ricercatori CNR di ritorno da Concordia, ma anche altri romanzi che citavano il lago Vostok, italiani e americani. In un manuale delle forze canadesi ho scoperto gli inconvenienti dell’uso di armi in freddi estremi, da un paper dello U.S. Army Corps of Engineers ho imparato gli effetti delle esplosioni subacquee sul ghiaccio (chi ha letto L’enigma dei ghiacci capirà facilmente perché). La fase di studio dura mesi, più o meno come la stesura del libro (e continua anche mentre scrivo). In parallelo leggo sempre altri romanzi: perché mi piace leggere, ma anche perché altrimenti mi isolerei. So che il mondo non finisce nelle pagine che sto scrivendo: cambia in continuazione, e io voglio sapere cosa fanno gli altri autori, che temi trattano, che registro usano. Leggo persino la cronaca nera di altri paesi, per sapere che aria tira, da cosa la gente è spaventata o affascinata. E poi osservare i fatti reali fa venire un sacco di idee: non c’è niente di più stimolante per la fantasia che studiare la realtà. Insomma, secondo la mia esperienza, leggere è il primo passo per uno che vuole scrivere.
E consigli per pubblicare?
Sono riuscito a farmi notare grazie al Premio Calvino e credo molto nei concorsi come quello o come IoScrittore. Quelli per racconti brevi sono ottime palestre per imparare, ma non per mettersi in mostra. Nemmeno se vinci.
Che cosa ti ha dato il rapporto con l’editore e con gli editor della casa editrice?
Questo è il valore aggiunto più prezioso di tutta quest’avventura, da quando cioè ho iniziato a scrivere, e anche il più inaspettato. Basti dire che il mio manoscritto era due terzi rispetto a quello ora in libreria. Chi non ha vissuto questa esperienza non credo possa capire e magari pensa che l’editore serva solo per fare selezione, aggiungere una bella copertina e curare la distribuzione, ma non è così. Occhi esterni mi hanno aiutato a cogliere opportunità già presenti nel mio romanzo, ma debolmente sfruttate. Mi hanno spinto a scrivere interi capitoli, ad esempio, sulla vita passata dei personaggi, trasformando vicende drammatiche – in origine descritte in cinque righe – in vere e complesse backstory.
Mentre scrivi, pensi a un lettore ideale?
Prima di scrivere, quando devo decidere cosa scrivere e come scriverlo, penso a una tipologia di pubblico. Ad esempio penso: questo libro, se fosse tradotto, piacerebbe agli americani o ai cinesi?
Quale dovrebbe essere la reazione dei lettori, secondo te?
Ho pubblicato solo un libro di avventure, non mi aspetto che inneschi riflessioni o emozioni particolari. Se un lettore si è divertito leggendolo, se è rimasto sorpreso da qualcosa d’inaspettato, per me va bene così. Se consiglia il libro a un amico, meglio ancora.
Un paio di cose che ti hanno detto i lettori…
Per ora quasi nulla, ma forse per un riscontro sui blog di recensione libraria, ci vuole più tempo.
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