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"Il cielo d'erba": per amare occorre accettare non solo gli altri, ma anche noi stessi

4 Maggio 2023 |
di
Simone Re
"Il cielo d'erba" è il delicato e commovente esordio del regista Gianfranco Vergoni. Una storia d'amore e di transizione di genere, un percorso che sfida le convenzioni raccontando il tema dell'identità, superando gli stereotipi e trascinando nei meandri più profondi dell’animo umano

Francesco e Viola sono innamorati. La loro è in apparenza una storia d’amore come tante altre: due giovani adulti della periferia romana, con una vita precaria e un futuro incerto, che si incontrano, si sposano, e imparano a volersi bene, a incastrarsi corpo e anima.

Francesco, sensibile e timido, Viola, energica e scostante. Ma questo amore chiederà loro una prova: Viola ha capito di essere dentro di sé un uomo e decide di iniziare il percorso della transizione di genere e cambia nome in Vittorio. Vuole che Francesco resti al suo fianco, che nulla cambi fra loro, perché ciò che ha dentro è lo stesso, è solo la forma esteriore a cambiare. Ma è davvero una strada, questa, che si può percorrere in due?

Il cielo d’erba (Longanesi) è il romanzo d’esordio del regista Gianfranco Vergoni. L’autore, perugino di nascita ma romano di adozione, prendendo spunto da una storia vera cui lui stesso ha assistito, racconta le difficoltà di Francesco, la cui unione con Viola, indiscussa sul piano del sentimento, vacilla a partire dalla progressiva ma definitiva trasformazione del corpo di lei.

Francesco fin dalle prime pagine conquista con la sua emotività goffa ma definita, con la sua identità densa di virtù e debolezze reali: né eroe né macchietta. La messa a fuoco, graduale ma intensa, della sua psicologia, delle sue insicurezze e anche delle sue contraddizioni (l’amore che prova per Viola, le difficoltà nell’accettare e nell’accogliere con lo stesso amore l’“avverarsi” di Vittorio, della sua identità maschile) è terreno fertile da cui prendono vita gli altri personaggi che abitano questo romanzo.

Intorno ai due protagonisti ruotano infatti amici, parenti e figure con cui l’autore arriva a comporre un vero e proprio campionario umano di ogni natura e genere, in cui emergono i piccoli e i grandi drammi di ciascuna esistenza, che compone il puzzle all’interno del quale ognuno di noi cerca di trovare un proprio spazio. Tutti i personaggi sono immersi negli ambienti pittoreschi e controversi della periferia romana, con i suoi bar, la sua parlata, i locali notturni, i mercatini.

A raccontare questa storia, in prima persona, è lo stesso Francesco, la cui voce restituisce un certo equilibrio fra intensità drammatica e ironia e permette di mantenere la percezione dell’autenticità con cui vengono restituiti gli stati d’animo dei protagonisti. È infatti proprio Francesco a mostrare un maggiore dissidio interiore, che, di conseguenza, lo porta a svolgere una sua personale evoluzione, diversa da quella di Viola, ma ugualmente importante.

«Frà, io so chi sono. L’ho sempre saputo.»

Le ultime parole che il cuore di Viola fa dire alla voce di Vittorio prima di dormire. Parole che la stanchezza fa emergere più morbide, eppure solide, scure, portanti come fondamenta di velluto nero che si allungano verso le buie profondità del pianeta.

«Non sto cambiando. Sto venendo alla luce.»

Allungo la mano verso l’abat-jour. È una luce che posso controllare. La notte spegne la stanza.

«Quello che sta affrontando il cambiamento sei tu»

La tematica della transizione di genere, attualissima, è affrontata dunque con una prospettiva narrativa originale, cioè quella dell’“altra parte”, di chi assiste al cambiamento.

Senza stereotipizzazioni di circostanza, Vergoni definisce con sensibilità ogni tassello emotivo e psicologico della vicenda, costruendo al contempo i personaggi e l’intreccio in maniera autentica e al stesso tempo leggera. La drammaticità e la serietà dell’argomento vengono infatti smorzate dal piglio autoironico del protagonista-narratore Francesco (che potrebbe sembrare, alla lontana, una sorta di Zeno Cosini dei giorni nostri) e da alcune leggere e intelligenti incursioni da commedia.

Una storia commovente, che riesce anche a divertire, ma che forse va oltre il semplice intrattenimento e assolve anche un compito più difficile: consegnare un messaggio, in quanto a essere promossa non è solo l’accettazione dell’altro, del diverso (ciò quella di Francesco verso Viola), ma soprattutto quella di se stessi: Viola impara ad abbracciare una volta per tutte la sua natura maschile mentre, in maniera più sottile e forse difficile, Francesco, riesce ad ascoltare le proprie emozioni e a comprendere che l’amore per gli altri non può e non deve portare a tradire, a ignorare la nostra identità e i nostri desideri, anche quando il mondo ci sembra al contrario e vediamo il cielo d’erba.

Di fronte a me, il mondo visto al contrario. È il punto di vista alternativo dal quale Viola mi ha insegnato a riconsiderare ogni certezza. I punti cardinali che si scambiano di posto, o piuttosto l’uno che si trasforma nell’altro, contrari solo in apparenza; ciascuno con dentro il proprio opposto. La femmina che si rivela maschio, il sole di mezzanotte, il nord che diventa sud, il sotto che finisce sopra, l’erba che spunta dal cielo. Il cielo come lo vedeva Viola, con gli occhi di Vittorio Il cielo d’erba.

Fonte: www.illibraio.it

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