Consigli degli editor

L’unico gusto di cui ci si può fidare

di
Luigi Spagnol, Vicepresidente Gruppo editoriale Mauri Spagnol
Con quali criteri gli editori scelgono i libri che pubblicano? Quanto conta il loro gusto personale? Come scrivere un romanzo che arrivi al cuore degli editori?

In molti si chiedono come facciano gli editori a scegliere i libri che pubblicano. Tra questi molti, per ovvi motivi, ci sono gli aspiranti scrittori.

La migliore spiegazione l’ho sentita ormai diversi anni fa, all’inizio della mia carriera. Siccome purtroppo mi è stata riferita a voce, devo affidarmi alla mia memoria sia per il contenuto che per l’attribuzione, che mi pare vada a Ernst Rowohlt, fondatore dell’omonima casa editrice nel 1908. La frase diceva più o meno così: “Ogni editore sceglie quali libri pubblicare seguendo due criteri: il proprio gusto personale e l’idea che si è fatta dei gusti del pubblico. Col passare degli anni diventa sempre più difficile distinguere l’uno dall’altra. Dopo vent’anni di editoria si diventa dei perfetti bastardi”.

Quello che mi piace di questa spiegazione è l’accento sul gusto personale. Un editore può (anzi deve, credo) sforzarsi di capire i gusti del pubblico, ma alla fin fine l’unico gusto di cui sa veramente qualcosa, l’unico di cui si può veramente fidare, è il proprio, per quanto imbastardito. Personalmente, ho sempre diffidato degli editori che dicono di pubblicare libri che a loro non piacciono perché pensano che possano piacere alla gente: se non c’è niente in un libro che incontri almeno una parte del loro gusto personale, che non desti se non altro una qualche ammirazione o almeno una qualche curiosità, non potranno mai fare un buon lavoro per quel libro, ne diventeranno solo gli stampatori o i distributori, e credetemi: non basta.

Da questa considerazione discendono, per gli scrittori che ambiscono a farsi pubblicare, una buona e una cattiva notizia.

La buona: non c’è bisogno di piacere agli editori. Gli editori, in quanto categoria, sono una pura astrazione. Basta piacere a uno solo.

La cattiva: non è possibile conoscere i gusti personali dei singoli editori (o degli editors che decidono i libri da pubblicare). Come si può fare, allora? Come può un aspirante scrittore pensare che il libro che sta scrivendo incontrerà il gusto personale di un editore o di un editor che non conosce?

Credo che l’unica soluzione sensata sia di fare come gli editori: seguire l’unico gusto di cui si sa veramente qualcosa, l’unico di cui ci si può veramente fidare. Il proprio.

Capisco quanto sia forte la tentazione di sondare il mercato, cercare di desumere quali sono gli argomenti di moda, ‘rubare’ gli ingredienti dei libri o delle serie TV di successo e rimescolarli, o addirittura imitare lo stile degli autori di bestseller. Il problema è che a un libro costruito così meccanicamente (odio l’espressione “scritto a tavolino”. Dove altro si dovrebbero scrivere i libri, nella vasca da bagno?) manca l’ingrediente principale, quello che ruba il cuore dei lettori e prima di loro degli editori: la passione dell’autore. È questo l’unico consiglio che mi sento di dare agli aspiranti scrittori: abbandonatevi alle vostre passioni, quali che siano.

Ma questa stessa cosa l’ha detta prima di me Stephen King e, dato che non ho alcuna speranza di poterla dire meglio del Maestro, eccola qui:

“Se ti piacciono i gialli, vorrai scrivere gialli, e se ti piacciono i romanzi rosa, è naturale che tu ne voglia scrivere di tuoi. Non c’è niente di sbagliato a scrivere queste cose. Quello che sarebbe sbagliato, credo, è voltare le spalle a quello che conosci e ti piace […] per dedicarti a cose che pensi possano fare colpo sui tuoi amici, parenti e colleghi scrittori. Altrettanto sbagliato è scegliere deliberatamente un genere o un tipo di narrativa per fare soldi. È dubbioso dal punto di vista morale, innanzitutto: lo scopo della narrativa è trovare la verità nella ragnatela di menzogne della storia, non macchiarsi di disonestà intellettuale per tirar su qualche quattrino. E poi, fratelli e sorelle, non funziona.”1

 


1 Stephen King, On writing

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