Giulio Leoni, nato a Roma, autore di gialli storici e di narrativa del mistero, è tra gli scrittori italiani di genere più conosciuti all’estero, grazie anche alla fortunata serie di avventure investigative che hanno come protagonista Dante Alighieri. Per diversi anni è stato insegnante delle scuole superiori e ha tenuto corsi di Teoria e Tecnica della Scrittura Creativa presso l’Università la Sapienza di Roma. Per la casa editrice Nord sono usciti Il manoscritto delle anime perdute, L’occhio di Dio, La sindrome del diavolo, Il testamento del Papa e Il Principe. Il romanzo di Cesare Borgia (2018).
Come hai pubblicato il tuo primo romanzo?
Per molto tempo mi sono occupato di poesia e critica letteraria, prima di passare alla narrativa. Il mio primo romanzo, La sequenza mirabile, non trovò subito un editore, e mentre ero ancora alla sua ricerca ne inviai un secondo, Dante Alighieri e i delitti della Medusa, al premio Tedeschi del 2000. Risultato vincitore, fu pubblicato nella collana Il Giallo Mondadori.
Che cosa ti ha dato il rapporto con l’editor della casa editrice?
Incontrare un buon editor è una fortuna per lo scrittore. Naturalmente occorre che si realizzi un’alchimia molto particolare: l’editor deve apprezzare lo stile e i temi di chi scrive, in modo da non premere per snaturarlo, ma allo stesso tempo deve essere vigile sugli errori e sugli sbandamenti che inevitabilmente avvengono durante il processo creativo. L’importante è che ci sia insomma stima reciproca, e il risultato è garantito. Personalmente sono stato sempre fortunato nel rapporto, non ho mai avuto “conflitti” particolari con l’editor, e quando raramente è avvenuto devo confessare che quasi sempre aveva ragione lui.
Quando scrivi pensi a un lettore ideale?
Certamente. Io immagino il mio lettore come un’estensione della cerchia di amici con cui mi trovo a discutere normalmente nella vita quotidiana. E che quindi in una qualche forma mi somigli.
Immagino che possa appassionarsi agli stessi enigmi, che abbia le mie stesse curiosità e che quindi possa gradire quelle storie che scrivo per lui perché sono quelle stesse che a me piacerebbe leggere o ascoltare.
Penso in definitiva che si scrivano proprio quei libri che ci piacerebbe leggere, e che il nostro lettore debba assomigliarci, essere lo stesso di Baudelaire, Hypocrite lecteur, mon semblable, mon frère!
Che importanza hanno le riscritture?
Fino alla fine ogni romanzo è oggetto di mille ripensamenti, cambiamenti; le storie e i personaggi hanno una loro logica interna, che spesso costringe a cambiare il piano iniziale per obbedirvi.
In questo Pirandello aveva dannatamente ragione, quando affermò che i personaggi vivono di una vita propria. A me è capitato più volte di cambiare in corso d’opera elementi importanti, perfino in un paio di gialli il nome dell’assassino, quando scoprivo che la logica della vicenda strideva con questa o quella mia idea iniziale. Riscritture vere e proprie invece non ne ho mai fatte, salvo qualche opera di ripulitura linguistica in occasione di riedizioni a distanza di anni, ma solo di piccoli particolari. In genere evito di essere troppo attuale, nello stile e nel linguaggio, e questo forse mi salva dall’invecchiamento precoce.
Quali consigli daresti a un aspirante scrittore?
Uno solo, semplice e banale, e sempre lo stesso: leggere molto, leggere tutto. Non esiste scuola di scrittura che valga quello che si impara studiando quello che hanno fatto gli altri. E seguire sempre il consiglio di Leopardi, leggere prima i classici e poi gli altri. Soprattutto la grande narrativa dell’Otto-Novecento. Facendo così a poco a poco nascono le passioni e le preferenze, e si scopre il genere verso cui ci si vuole orientare. A questo punto occorre un po’ di specializzazione: se si decide ad esempio per il genere giallo, occorre preventivamente la lettura di almeno due-trecento racconti di questo genere. Questo per due motivi: accumulare un vasto magazzino di situazioni, personaggi e trame da tenere presenti, e allo stesso tempo conoscere quello che è stato già fatto per evitare ingenuamente di ripeterlo. Le nuove idee nascono sempre dallo studio e dalla riflessione su quello che già esiste.
È in fondo la famosa “bottega” rinascimentale, quella che poi sfornava i Leonardo e i Botticelli.
Le trame dei tuoi romanzi si sviluppano su uno sfondo storico ricostruito sempre con grande precisione. Come organizzi tutto questo lavoro nella tua officina di scrittura? Quanto tempo dedichi allo studio e come riesci a fare incontrare personaggi reali e finzione narrativa?
Mi faccio guidare da un’altra mia passione, quella per il cinema, e organizzo lo sfondo storico dei miei racconti come uno scenografo organizza il set della ripresa. Sto attento a ogni particolare di quello che compare “in scena”, facendo al riguardo ogni ricerca possibile. Se vi compare un abito, un edificio, una macchina cerco di evitare ogni ucronia, mentre non presto troppa attenzione a quello che avviene fuori scena. Nei miei racconti non c’è mai alcuna nota, alcun raccordo storico, alcuna spiegazione: quello che importa è quello che avviene sulla pagina, e deve essere sufficiente per seguire lo sviluppo della storia. Se un racconto ha bisogno di spiegazioni significa solo che la narrazione ha qualche difetto, ed è quello che cerco di evitare con tutte le mie forze.
Al lettore deve essere consentito il piacere della scoperta, leggendo deve stare solo un passo indietro al narratore e avere continuamente l’illusione di averlo raggiunto salvo poi trovarsi davanti una nuova sorpresa. E la soluzione deve arrivare quando mancano solo poche righe alla fine, evitando accuratamente quegli “spiegoni” di interi capitoli che chiudono tante narrazioni. L’investigatore che a due terzi del racconto riunisce tutti i personaggi da qualche parte e comincia una dettagliata spiegazione di come è andata la faccenda era un topos del giallo classico, ma personalmente lo trovo oggi improponibile.
Quanto al lavoro di ricerca, qui sfrutto furbescamente la mia ex professione di insegnante di storia, che mi facilita ovviamente, aiutato ulteriormente dal fatto che i periodi della storia che meglio conosco (il medio evo-rinascimento e l’età tra le due guerre mondiali) sono gli stessi in cui preferisco ambientare le mie storie. Per cui tutto il lavoro si riduce alla verifica di alcuni particolari senza necessità in genere di ulteriori grandi ricerche. Il grosso del lavoro va tutto all’opera di trasformazione di una risma di carta bianca in romanzo, e questa è tutta un’altra storia. Questa è la vera sfida per ogni scrittore, arrivare alla fine: se si potessero mettere in fila tutti i romanzi cominciati e non finiti si arriverebbe comodamente sulla Luna.
I giudizi della stampa su Il Principe. Il romanzo di Cesare Borgia:
“Giulio Leoni è abilissimo a ri-raccontare a ritroso le vicende di un figlio illegittimo, condottiero spregiudicato e politico ambizioso come Borgia che svelerà la sua vera identità a un testimone speciale: Leonardo da Vinci.” Luca Crovi, il Giornale
“Cesare Borgia, il Valentino, il condottiero che ha riempito le pagine di geni come Francesco Guicciardini e Niccolò Machiavelli che a lui si ispirò per Il Principe; ha stregato saggisti, romanzieri, studiosi di ogni epoca. Anche oggi, a oltre cinque secoli di distanza, l’autore di gialli storici Giulio Leoni, ci restituisce la sua figura ammantandola di suspense.” laLettura – Corriere della Sera
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