Questa volta i consigli per gli aspiranti scrittori li abbiamo chiesti a un artista dal talento poliedrico: Francesco Maria Colombo, musicista, direttore d’orchestra, critico musicale, fotografo, autore e conduttore del programma televisivo Papillons, in onda su Classica HD nel circuito Sky, scrittore. Il suo primo romanzo, Il tuo sguardo nero (Ponte alle Grazie, 2018), ripercorre la travolgente storia d’amore clandestina tra Pierre Louÿs e Marie de Heredia.
Come hai pubblicato il tuo primo romanzo?
Ho fatto e faccio diverse cose nella vita, il direttore d’orchestra, il fotografo, senza dimenticare il preparatore di cocktail eccellenti. Però la prima cosa che ho fatto è il giornalista, lavorando al Corriere della Sera. Questo ha permesso di rendere nota la mia scrittura a parecchie persone, tra le quali quello che sarebbe poi stato, dopo decenni, il mio editore. In un certo senso sono partito avvantaggiato, ma è stato proprio parlando con l’editore che è venuta l’idea di uscire dalla dimensione saggistica e di affrontare il genere narrativo.
Che cosa ti ha dato il rapporto con l’editore della casa editrice?
Mi ha fatto risparmiare una somma considerevole che se ne sarebbe andata in psicoanalisi. È stato per un anno la mia coperta di Linus.
Quando scrivi pensi a un lettore ideale?
Scrivo per un lettore che stimo, e per questo non gli do la pappa pronta. Il mio romanzo ha diversi livelli strutturali che permettono una diversa cognizione del contenuto. Lo si può leggere come una storia d’amore, come un’autobiografia, ma anche come un labirinto in cui l’autore guida il lettore solo fino a un certo punto: una parte importante del libro è, in un certo senso, scritta dal lettore attraverso la sua immaginazione e la sua capacità di individuare i nessi nascosti, le piste false e le piste vere. Il romanzo come labirinto (se devo fare l’esempio più illustre che mi venga in mente penso a Fuoco pallido di Nabokov) è quanto più mi affascina in letteratura, come lettore.
Che importanza hanno le riscritture?
Nel mio caso hanno un’importanza minima, perché ho usato un metodo di scrittura molto preciso: ho messo a punto, lungo tutto un anno, la preparazione storica sulle fonti (non c’è un solo fatto nel romanzo che non sia documentato) e soprattutto sulla struttura, che è per me la cosa più importante. Quando ho avuto l’ossatura davanti a me, limpida, con le relazioni tra una cosa e l’altra chiarite a me stesso, scrivere è stato semplice. Ho scritto 331 pagine in 23 giorni, scegliendo una specie di esilio in una città che mi piace e dove non conosco nessuno (Amburgo). Nove ore al giorno di scrittura, ma senza fatica perché sapevo dove andare. Alla prima stesura sono seguiti aggiustamenti minuscoli, qualche sostituzione di parole, il controllo delle allitterazioni attraverso la lettura ad alta voce (metodo flaubertiano efficacissimo), in qualche caso l’affinamento delle traduzioni dal francese cui ho dovuto provvedere. Ma direi che tra la prima stesura e la definitiva non ci sono più di 40-50 parole che ho cambiato.
Quali consigli daresti a un aspirante scrittore?
Mi riesce molto difficile: primo perché non sono uno scrittore esperto ma uno che ha pubblicato il suo primo romanzo dopo i cinquant’anni; secondo perché il metodo che ho usato io può non funzionare per altri. Una cosa posso suggerire (ma più da lettore che non da scrittore): di non aver paura di scrivere a modo proprio, senza tener conto degli standard imposti quasi sempre dagli editor e dalle case editrici, cosa che a me non è assolutamente accaduta, ma di cui ci si rende conto facilmente sfogliando tanta narrativa contemporanea. Cercare l’individuazione dello stile anziché il piacionismo rassicurante. Infine non aver paura di una scrittura “alta”, quando la si sente dentro: leggo molti romanzi in cui la scrittura insegue i solecismi popolari e il linguaggio della televisione, forse per paura di arroccarsi in una torre d’avorio, al riparo dello stile. Ma lo stile non è un dato accessorio: lo stile è la narrativa, e non vedo ragione di modificarlo per venire incontro a un gusto “medio”. Ultima cosa: quando si comincia a scrivere, prima di aver trovato un editore, consiglio di leggere a più persone quel che si è scritto. La scrittura è efficace quando incontra l’interesse dell’altro, in assenza di questa risposta credo che si stia fallendo il bersaglio.
Musicista, fotografo, scrittore. Qual è il filo rosso, se c’è, che tiene insieme queste tre arti nella tua impronta creativa?
Non c’è. La base delle diverse attività è una sola, riguarda il mio rapporto con la vita e la mia percezione estetica. Ma non esiste un collegamento tra il gesto di scrivere e quello di dirigere un’orchestra o di fotografare. È come se mi dimenticassi di tutto il resto della mia vita. Poi, a cose fatte, riemergo dall’apnea.
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