Al di là di complimenti e offese generici, servono però soprattutto consigli e critiche costruttive, che possano aiutare a migliorare il libro (o aiutare l’autore, quando si rimetterà a scrivere). Qualche esempio, per cominciare, sugli effetti che può provocare la lettura di un romanzo.
Avete appena finito di leggere un libro. Vi hanno chiesto un parere: può essere una scheda di lettura, una recensione per una rivista o un blog, il giudizio per un premio, o magari la scheda di
IoScrittore. Oppure quel romanzo vi è piaciuto talmente tanto (o vi ha fatto talmente schifo) che non potete fare a meno di mettere la vostra reazione nero su bianco. Vi potete finalmente sfogare, nel bene e nel male.
[Ma non state scrivendo solo per voi: qualcuno magari vi leggerà. Forse l’autore scorrerà le vostre righe e sarà senz’altro il vostro lettore più attento.
“Il tuo romanzo è un capolavoro! Bellissimo!!! Venderà milioni di copie, ne sono certa”. I complimenti incondizionati servono solo ad aumentare l’autostima dell’autore (ed evitano all’ex fidanzata o all’amica del cuore, cui avete inflitto il vostro manoscritto, di entrare nel merito e confessare che l’hanno abbandonato a pagina 10…).
“Ma come si è permesso di infliggerci questo tomento? È l’opera di un serial killer sanguinario e perverso, che violenta sintassi e grammatica come un Attila della lingua italiana. Se incontrassi in ascensore uno dei suoi personaggi, mi suiciderei inghiottendo deodorante…”
Gli insulti al nostro capolavoro immortale ci indignano: non li meritiamo, ci abbiamo messo dentro l’anima, in quel manoscritto, “Che la mia ex fidanzata Clotilde dice che è un capolavoro che l’ha divorato, e la mia amica Cicci le è piaciuto un botto.”]
Al di là di complimenti e offese generici, servono però soprattutto consigli e critiche costruttive, che possano aiutare a migliorare il libro (o aiutare l’autore, quando si rimetterà a scrivere).
Qualche esempio, per cominciare, sugli effetti che può provocare la lettura di un romanzo.
Effetto noia. All’autore (o al suo editor) può essere utile sapere quali sono le parti più/meno appassionanti di un romanzo, le pagine dove la tensione cala. Le divagazioni inutili. Lo stesso vale per i personaggi: il rapporto di simpatia e antipatia (ricordando che in un romanzo non tutti devono essere simpatici; e che nei romanzi esistono antipatici che diventano simpatici, cattivi che si rivelano buoni, e persino prostitute che hanno un’etica e poliziotti corrotti…).
Effetto batti e ribatti. Sarà un mio problema, ma quando in un libro o in un articolo leggo “giovane ragazza” o “peso gravoso”, mi viene il nervoso (ecco, a noi italiani danno fastidio anche le rime involontarie…). Insomma, “ma bensì” dovremmo “tuttavia” limitare questo effetto batti e ribatti, “però”.
Effetto cliché. Ci caschiamo tutti, nella vita e soprattutto quando scriviamo. Sono inevitabili, ma possiamo provare a correggere questo difetto, in noi e negli altri.
Un esempio. Proviamo a partire dalla “passione”, l’energia che mette in moto la macchina romanzesca. Spesso è una faccenda da piromani: la passione “infiamma”, “brucia”, “consuma”… Allora meglio ricorrere all’acqua: la passione ci “travolge come un torrente”, a onde (o ondate), naturalmente “torbide”; finché non ci si annega, e si affonda. Ma a cosa sono dovuti questi turbamenti? Proviamo a guardare il meteo: tutti i mediocri scrittori infarciscono i romanzi di “tempeste di passione” o “uragani di passione”, soprattutto quando l’eroe e l’eroina restano soli… Per salvarsi non basta la Protezione Civile, soprattutto se arriva l’immancabile “terremoto di passione”. A volte serve il medico: le passioni ubriacano, accecano, fanno impazzire, finché non diventano cannibali che divorano la loro preda, “rosa dalla passione”. Possono anche essere usate come mezzo di trasporto: spingono e muovono di qua e di là con grande vigore. Le passioni – con quel loro spreco di energie verbali – diventano irresistibili quando sono applicate a oggetti banali: “una profonda passione per la pasta al forno”, “una torbida passione per le violette di maggio”, “una passione incoercibile per le cinture di stoffa”…
I cliché hanno poi, a loro volta, una “passion predominante”, come Don Giovanni: si accoppiano e si moltiplicano senza sosta.
Le passioni sono quasi sempre “sfrenate” (è per questo che quando vi muove la passione, dovete stare molto attenti: se siete in un romanzo, prima o poi andate a sbattere!). L’aggettivo “sfrenato”, appena evaso dal vocabolario, così sfrigolante e liberatorio, contagia come un’epidemia, pagina dopo pagina, anche corse (sfrenate), cavalcate (sfrenate), fughe (sfrenate), inseguimenti (sfrenati), ma anche ambizioni (sfrenate), vizi (sfrenati), illusioni (sfrenate)…
Ecco, il bravo lettore cerca di metterci un freno, alla “sfrenata passione” per i cliché. Magari utilizzando l’arma dell’ironia. Ma qui vi rivelo un mio cliché: uso troppo spesso l’ironia (e la parola ironia). Cerco di rimediare usandola a piccole dosi: “un pizzico d’ironia”, “un briciolo d’ironia”, “una punta d’ironia” (nello sguardo, nella voce, nella frase, o dove preferite).
Ma voi, nelle vostre letture, avete trovato qualche irresistibile cliché?
Che so, le illusioni: prima nutrite e cullate (o misteriosamente usate come culla: “Mi cullavo nelle mie illusioni”). Poi accarezzate e coltivate, prima di diventarne preda, e alla fine romperle, o perderle…
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