Scrittore per ragazzi, educatore ambientale, musicista, Giuseppe Festa torna in libreria con Una trappola d’aria (Longanesi), un thriller per lettori adulti in cui declina in modo inedito la tematica che ha reso i suoi libri amatissimi da lettori di ogni età: la protezione della natura. L’eroe che difende l’ambiente, nelle pagine di Una trappola d’aria, diventa il criminale da individuare e consegnare alla giustizia: a farlo, sul suggestivo sfondo delle isole Lofoten, saranno l’ex ispettore Marcus Morgen, un uomo ferito nel corpo e nello spirito, e Valentina Santi, ricercatrice che studia il comportamento delle balene e che saprà mostrare a Morgen il volto nascosto delle cose.
Autore prolifico, sempre alla ricerca di nuove forme narrative per raccontare e raccontarsi, Giuseppe Festa ha spiegato a ioScrittore.it la sua idea di letteratura, la sua storia professionale e ha condiviso alcuni consigli del mestiere.
Che
differenze ci sono tra la scrittura per adulti e quella per ragazzi?
“Spesso si pensa che scrivere per ragazzi sia più semplice che scrivere per
adulti, ma non sono d’accordo, perché quando si scrive per un adulto si scrive
per un proprio pari, mentre quando ci si rivolge ai ragazzi bisogna tenere
conto della loro età e della rapidità con cui crescono: tra i sette e i nove
anni c’è una bella differenza, e fra i dieci e dodici cambia ancora tutto,
quindi un autore deve avere parecchi strumenti nella sua cassetta degli
attrezzi. Inoltre, i temi nella letteratura per ragazzi spesso non sono
semplici: l’avventura della crescita, l’importanza dell’amicizia, i primi
amori, la sofferenza per un distacco, la morte… sono tutte tematiche che si
affrontano ampiamente e di cui i più giovani sono voraci fruitori, è una bella
sfida. Per contro, scrivendo per un pubblico adulto mi sono sentito libero di
creare personaggi con più sfumature di grigio: i ragazzi hanno bisogno di
assoluti, di una chiara divisione fra bene e male, e non sempre accettano un
‘eroe’ che abbia lati ambigui o addirittura disdicevoli, mentre con gli adulti
questa caratterizzazione può funzionare molto bene. L’ultimo ragionamento lo
farei sul linguaggio”.
Ci dica.
“Non credo si debba semplificare quando si scrive per i più giovani: stiamo
vivendo in un periodo di dicotomia tra immagine e parola scritta e purtroppo la
bilancia tende sempre di più verso l’immagine. Ma quando si guarda qualcosa, si
ha una fruizione passiva, mentre la lettura impone un’immaginazione attiva, e
questo è un aspetto fondamentale durante la crescita per imparare a
interpretare la realtà che ci circonda”.
Parlando
di scrittura per adulti, Una trappola d’aria è il suo primo thriller:
com’è stato confrontarsi con questo tipo di narrazione?
“Sono da sempre un avido lettore di thriller, e di conseguenza nel corso degli
anni credo di aver assimilato naturalmente una serie di meccanismi. Tuttavia,
certi aspetti della scrittura travalicano i generi: il ritmo, la suspense, lo
svelamento lento dei personaggi e la tridimensionalità degli stessi sono
elementi trasversali, valgono per un thriller come per una storia d’amore o un
romanzo storico. Tra le regole peculiari del thriller, però, ce n’è una che mi
ha sempre affascinato: far giocare il lettore ad armi pari con il personaggio
che sta svolgendo l’indagine. Nel testo devono esserci tutti gli elementi per
la risoluzione del caso, senza finali arbitrari o informazioni che cadono dal
cielo. Questa è la regola che in un thriller secondo me va sempre seguita”.
Anche in Una
trappola d’aria torna il tema dell’ambiente e della sua salvaguardia. In
che modo la natura ha iniziato a influenzare la sua scrittura?
“Sono convinto che ogni racconto sia uno specchio delle proprie esperienze e
dalla propria realtà, che ciascuno scrittore reinventa. Io sarei dovuto
diventare ingegnere, come mio padre”.
E poi?
“Intorno ai vent’anni ho fatto un periodo di volontariato nel Parco Nazionale
d’Abruzzo e la prima notte un orso è venuto a grattare alla porta della
legnaia: in quei giorni il contatto con la natura e con le persone che
lottavano per conservarla, come i guardaparco, i ricercatori e gli educatori
ambientali, mi ha fatto cambiare strada. Ho lavorato come educatore ambientale
per tanti anni e questa esperienza è stata fonte d’ispirazione per i miei libri.
Nelle mie storie c’è sempre un protagonista impegnato, in un modo o nell’altro,
nella conservazione della natura, come la ricercatrice Valentina Santi in Una
trappola d’aria. Avere un nucleo tematico è importante perché rappresenta
il legame con una radice profonda: è ciò che mi fa sentire sincero con me
stesso e con i miei lettori”.
E qual è
il segreto per mantenersi fedeli a uno stesso tema risultando al contempo
originali? Ha mai avuto paura di ripetersi?
“Certo, mi spaventa
molto, anche nella scrittura musicale: se percepisco che sto facendo qualcosa
di simile al passato, lascio perdere. Una trappola d’aria nasce proprio
dal tentativo di non ripetermi, ribaltando un canovaccio tipico delle mie
storie: l’antagonista che sfregia la natura. In questo caso, ho immaginato un
cattivo che agisse credendo di difenderla, anche se in modo distorto e violento”.
Si
ricorda com’è arrivato alla pubblicazione del suo primo libro?
“Ho scritto il mio primo romanzo circa sei anni prima dell’effettivo esordio con
Il passaggio dell’orso e, benché ci avessi messo grande impegno, è stato
scartato da tutte le case editrici a cui lo avevo proposto. Rifiuti
assolutamente ben motivati, con gli occhi di oggi, e che mi hanno fatto
crescere. Infatti, dopo l’iniziale
delusione, ho cercato di fare tesoro delle critiche e dei consigli ricevuti.
Qualche anno dopo ho immaginato la trama del Passaggio dell’orso, mi
sono rimesso a scrivere e sono arrivato in Salani al momento giusto, perché il
quel periodo Luigi Spagnol stava cercando una storia che parlasse di ambiente
ai ragazzi attraverso un’avventura che non fosse didascalica. Dopo quella prima
pubblicazione ne sono arrivate altre, e dalla scrittura di ogni libro ho
imparato qualcosa: un autore è come un artigiano, ci sono sempre nuovi attrezzi
del mestiere da scoprire e maneggiare, e in questo processo di apprendimento
gli editor sono fondamentali. Io ho avuto la fortuna di collaborare con nomi
del calibro di Fabrizio Cocco, Barbara Gozzi e Sarah Rossi, a cui devo molto”.
Come si svolgono
per lei le varie fasi della scrittura, dall’idea iniziale al progetto finito?
“Non inizio mai a scrivere senza una trama ben delineata, quindi lavoro molto
su questo aspetto. So che altri miei colleghi procedono in modo diverso, ma io
ho bisogno di avere bene in mente la trama e il finale: ai ragazzi che vogliono
iniziare a scrivere consiglio sempre di farsi una scaletta dettagliata, perché
scrivere senza conoscere la direzione in cui si vuole andare è come dribblare a
testa bassa in una partita di calcio, senza sapere dov’è la porta. Oltre alla
trama, prima di iniziare devo conoscere bene anche i personaggi, altrimenti il
rischio è di scoprire a lavoro inoltrato che non funzionano. Un’altra cosa
importante, per me, è visitare i luoghi in cui sono ambientati i romanzi: per
scrivere Una trappola d’aria sono riuscito a sfruttare una breve
finestra di voli per la Norvegia, nel 2020, tra la prima e la seconda ondata
della pandemia, per respirare l’aria delle isole Lofoten. È una cosa utile sia
per rendere vivide le descrizioni, sia per trovare nuovi spunti, perché si
possono fare incontri utili per la storia che si sta scrivendo”.
Per
esempio?
“In questo viaggio è successa una cosa incredibile: quando sono partito per le
isole Lofoten la trama del romanzo era già definita e approvata dall’editore,
compresi i personaggi, tra cui Valentina, naturalista ventinovenne studiosa di
balene, in Norvegia da cinque anni. Alle Lofoten ho partecipato a un’uscita con
una nave oceanografica e qui ho incontrato una ragazza, Sara Mesiti, che
corrispondeva esattamente al mio personaggio: era laureata in Scienze naturali,
aveva trent’anni ed era in Norvegia da cinque proprio per studiare i cetacei.
Una coincidenza che mi ha lasciato senza fiato e che si è rivelata anche molto utile
per la stesura del romanzo. Infatti, nei mesi successivi, ci siamo sentiti più
volte e il suo sguardo italiano sulla cultura norvegese ha senza dubbio
arricchito il personaggio di Valentina”.
Ha una
routine quando scrive?
“La mattina, subito dopo il risveglio, mi capita di risolvere problemi su cui
mi ero arrovellato tutto il giorno precedente senza trovare una soluzione. Come
si dice, ‘il sonno porta consiglio’. Mi hanno spiegato che durante la notte il
cervello si resetta e il mattino dopo è più facile trovare strade alternative
rispetto a quelle su cui ci si era focalizzati. Ma a me piace dare a questo
processo una spiegazione più romantica”.
Quale?
“Dev’essere mio nonno Tiberio che mi manda dei suggerimenti [sorride N.d.R.].
Per quanto riguarda la routine vera e propria, invece, cerco di scrivere con
una certa regolarità e costanza, mi occupo delle parti nuove soprattutto al
mattino, mentre, in genere, il pomeriggio edito le cose che ho scritto il
giorno prima e che ho lasciato sedimentare”.
E il suo luogo
preferito per scrivere qual è?
“La cucina: di solito lavoro ai nuovi libri in inverno ed è il posto più caldo
della casa, perché è dove si trova la stufa… e poi c’è il frigorifero, che è
fondamentale!”.
Se
dovesse dare un unico consiglio a un aspirante scrittore, quale sarebbe?
“Chi vuole iniziare a scrivere deve leggere molto, dovrebbe essere un’ovvietà
ma purtroppo non lo è. E poi è fondamentale dare la massima attenzione
personaggi, bisogna conoscerli alla perfezione prima di mettersi a scrivere e
per farlo è necessario riempire pagine e pagine di descrizioni: come li si
immagina, com’è il loro carattere, quali sono i loro sogni, le paure, i punti
deboli e quelli di forza, il loro modo di parlare… Se i personaggi sono ben
delineati si potrà verificare quella magia per cui lo scrittore avrà la
sensazione di essere uno spettatore. Ovviamente poi bisogna anche imparare a
gestirli, a volte è bene impedire che prendano determinate direzioni, altre è
fondamentale farli parlare con le loro voci. Imparo sempre molto dai miei
personaggi e mi hanno fatto scoprire tante cose su me stesso”.
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