Ogni volta che Arianne pensava a quella ragazzina indifesa, provava una tenerezza dolorosa. Subito dopo, ricordava quello che le avevano fatto.
Ogni volta, la rabbia si accendeva insieme al desiderio impossibile di vendicarla. E avrebbe tanto voluto avere in mano delle certezze.
Ogni volta, immaginava che non sarebbe stato difficile andare ad Aosta a ottenere informazioni, per trasformare i sospetti in certezze. Sapeva come fare. E sapeva già che cosa avrebbe fatto dopo.
Ogni volta che le veniva in mente Aosta, ripensava ai Draquignaz, a quel relitto patriarcale pieno di monete, agli scheletri e agli intrallazzi su cui sguazzavano con stile, come pesci infestanti di palude. Negli ultimi anni immaginava Augusto insieme alla moglie giovanissima e all’inqualificabile suocera, sempre ligi nel sostenere i valori di famiglia: conto in banca, cognome ed etnia.
Ogni volta che si soffermava a riflettere sull’intera regione, la Valle d’Aosta, si amareggiava soppesando la corruzione, le mafie e l’immenso marciume custodito sotto lo stereotipo dell’Isola Felice, tanto in voga ai tempi delle stalle d’oro e dei contributi a pioggia.
Ogni volta, ricordava con disgusto la consuetudine, tanto amata dalla gioventù nativa, a organizzare scherzi, scherzi che non accompagnavano soltanto le festività nazionali, scherzi che non erano soltanto innocui o pesanti, scherzi che potevano degenerare.
A quel punto tornava al Grande Scherzo. Al crimine che aveva segnato per sempre la ragazzina indifesa di allora, la piccola Arianne.
Arianne non era stata l’unica vittima. Ma ora aveva un lavoro che amava, un marito, tante cose belle per cui vivere in pace.
Ogni volta, Arianne si diceva che se un giorno non avesse avuto più nulla da perdere, sarebbe tornata ad Aosta a compiere la sua giustizia.
Quel giorno è appena arrivato.